L’autore desidera ringraziare la dott.ssa Francesca Zappacosta, ricercatrice ISPRA, per gli utili suggerimenti alla stesura del presente capitolo.
Il 2023 e Il 2024
Il 2023 ha rappresentato un anno di notevole importanza per le politiche ambientali italiane, essendo stato il banco di prova della storica riforma che nel 2022 ha modificato gli articoli 9 e 41 della Costituzione introducendo esplicitamente, tra i principi fondamentali, la tutela dell'ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell'interesse delle generazioni future, e stabilendo che la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali(1). Alcune associazioni avevano definito il 2023 come il “momento delle scelte concrete verso la sostenibilità” in ragione della necessità di rispettare gli obiettivi previsti a livello internazionale(2). Invece non solo l’avanzamento atteso non vi è stato, ma sono state registrate alcune preoccupanti inversioni di rotta, non solo a livello normativo(3).
Lo stato di salute ambientale del nostro Paese
Il Rapporto Ambiente del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente (SNPA) del 2023 ci può fornire importanti indicazioni sul livello attuale di protezione della natura nel nostro paese. Dallo studio emergono i passi significativi che l’Italia sta compiendo nell’aumento della quota di rinnovabili nel consumo di energia, nell’innalzamento percentuale della raccolta differenziata, nei controlli circa i reati definiti dalla L. 22 maggio 2015, n. 68, Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente, di cui si dirà in seguito. Tuttavia, il rapporto evidenzia anche aspetti che richiedono maggiori interventi. Ad esempio, il 2023 è stato dichiarato l’anno più caldo, caratterizzato dall’alternanza di violente alluvioni e periodi di siccità.
Il dato climatico non rappresenta, purtroppo, l’unico elemento negativo. Il Rapporto SDGs 2023. Informazioni statistiche per l’Agenda 2030 in Italia, pubblicato dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ha fornito una fotografia preoccupante con riferimento agli indicatori per valutare l’attuazione dei 17 Obiettivi sullo sviluppo sostenibile. Se il 42,6% delle misure avanza verso il raggiungimento dei target internazionali, la maggioranza degli obiettivi permangono stazionari (24,6%) o peggiorano (32,8%). In particolare, con riferimento ad alcuni obiettivi chiave, quali il 2 (eliminazione della fame), 4 (istruzione), 11 (città sostenibili) e 13 (cambiamento climatico) oltre un terzo degli indicatori peggiora.
Le questioni aperte e le divergenze con la politica ambientale europea
Resta a oggi incompiuto il percorso verso la definizione di una legge sul cambiamento climatico, di cui una bozza è stata proposta da diverse associazioni ambientaliste, così come l’approvazione del Testo unico sulle rinnovabili (TUR). Non è certo sufficiente, anche se si tratta di un passo da salutare con favore, l’adozione del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC), avvenuta nel dicembre 2023 nonostante la redazione fosse iniziata nel 2016, seguendo le indicazioni tracciate dalla Strategia nazionale di adattamento.
I provvedimenti in materia di tutela della biodiversità scarseggiano, per usare un eufemismo, mentre tornano alla ribalta temi quali quello delle attività di caccia, materia in cui è stato approvato un emendamento alla legge di bilancio che supera la disciplina presente nella L. 11 febbraio 1992, n. 157, sulla tutela della fauna e regolamentazione della caccia, nonché alla L. 6 dicembre 1991, n. 394, sulle aree protette, per dare la possibilità ai cacciatori di abbattere la fauna selvatica, anche nelle zone protette, in qualsiasi periodo dell’anno. Tale proposta ha ricevuto il monito della Commissione europea rispetto alla possibile violazione dell’art. 12 della Direttiva 92/43/CEE sulla conservazione degli habitat naturali e l’art. 5 della Direttiva 2009/147/CE riguardante la conservazione degli uccelli selvatici, che prescrivono l’obbligo di adottare misure che vietino di uccidere o catturare le specie protette e di arrecarvi disturbo, in particolare durante i periodi di riproduzione, di dipendenza, di ibernazione e di migrazione.
Le divergenze rispetto alle politiche dell’Unione europea (UE) sono però emerse soprattutto sul tema del ripristino della natura. Infatti il Governo italiano ha votato contro l’approvazione del regolamento che prevede il ripristino di almeno il 20% dei territori e dei mari europei(4). Peraltro, ancora oggi non è stata adottata una legislazione nazionale sul consumo del suolo, mentre a livello europeo si è discusso, e presumibilmente si continuerà a discutere nella nuova legislatura, della proposta di direttiva sul monitoraggio e la resilienza del suolo, approvata il 10 aprile 2024 dal Parlamento europeo, che introdurrà l’obbligo per gli Stati membri di valutare lo stato di salute dei suoli, in linea con gli obiettivi posti dal Piano d’azione della Commissione europea del 2021. Nella stessa direzione va anche il nuovo regolamento UE sugli imballaggi, approvato dal Parlamento europeo, e in attesa di approvazione del Consiglio, che andrà a uniformare la normativa del mercato interno, promuovendo l'economia circolare(5). Inoltre, anche la direttiva sulle emissioni industriali ha ricevuto il voto contrario del Governo italiano. L’atto è finalizzato a ridurre le emissioni nocive di impianti industriali e grandi allevamenti (suini e pollame), attraverso la determinazione di livelli di emissioni nocive più stringenti. Dall’ambito di applicazione della direttiva risultano, tuttavia, esclusi quelli gli allevamenti intensivi di bovini, rispetto ai quali si valuterà un eventuale intervento normativo entro la fine del 2026, insieme alla previsione di una “clausola di reciprocità” nei confronti dei Paesi terzi, al fine di garantire che anche i produttori esterni soddisfino i requisiti previsti dalle norme UE quando esportano verso il mercato europeo.
Rispetto alla tutela del mare e delle sue risorse, non sono ancora stati adottati i decreti attuativi della L. n. 60 del 2022, Disposizioni per il recupero dei rifiuti in mare e nelle acque interne e per la promozione dell'economia circolare. Tale provvedimento regolamenta i rifiuti accidentalmente pescati (RAP) e i rifiuti volontariamente raccolti (RVR), equiparandone la disciplina ai rifiuti delle navi, che devono essere conferiti separatamente all'impianto portuale di raccolta. La piena efficacia della legge è però subordinata all’adozione di diversi atti. Non è stato ancora approvato il Piano di gestione dello spazio marittimo (PGSM), la cui consultazione pubblica si è conclusa nell’ottobre 2022 e, per via dei gravi ritardi, la Commissione europea ha avviato una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia.
Motivo di seria preoccupazione è anche la L. 22 gennaio 2024, n. 6, Disposizioni sanzionatorie in materia di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici e modifiche agli articoli 518-duodecies, 635 e 639 del codice penale, con cui il legislatore ha adottato il pugno duro nei confronti di chi protesta per l’inerzia della politica di fronte alla crisi climatica, inasprendo le sanzioni già introdotte nel 2022(6). Si tratta evidentemente dell’ennesima normativa nazionale che reprime il dissenso, minacciando la democrazia e il rispetto dei diritti umani. Tale preoccupazione è condivisa dal Relatore speciale sui difensori ambientali che, nel suo position paper del febbraio 2024, ritiene che l’emergenza ambientale non possa essere fronteggiata se coloro che chiedono a gran voce azioni concrete vengono criminalizzati per le loro condotte. Nonostante l’inasprimento delle pene, le ragioni dei manifestanti hanno in qualche modo trovato un riconoscimento da parte del Tribunale di Bologna che il 18 gennaio 2024, nel condannare tre attivisti per un blocco stradale, ha comunque riconosciuto loro l’attenuante di “aver agito per particolari motivi di ordine morale e sociale”.
Appare ulteriormente preoccupante il recente disegno di legge n. 1660 (l’ennesimo che fa riferimento alla “sicurezza”), presentato alla Camera dei Deputati, che sembrerebbe caratterizzato da una volontà di reprimere i conflitti sociali e ambientali attraverso chirurgici interventi legislativi per criminalizzare le attività degli attivisti, inasprendo le sanzioni per i reati esistenti e costruendo nuove fattispecie penali. La proposta ha suscitato le critiche non solo dei movimenti per la giustizia climatica e sociale e del mondo accademico, ma anche delle istituzioni internazionali. Su tutte, appare utile richiamare il lucido parere rilasciato dall’Ufficio dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) per le istituzioni democratiche e i diritti umani, che sottolinea come diverse disposizioni siano formulate in termini vaghi, che lasciano spazio a interpretazioni arbitrarie e non soddisfano il principio di proporzionalità tra sanzione e reato. Tali rilievi si riferiscono, in particolare, alle norme relative ai blocchi stradali e alle offese nei confronti dei pubblici ufficiali, che rischiano di creare pericolosi ostacoli all’esercizio delle libertà di espressione e di assemblea. Pertanto, il parere suggerisce di riconsiderare diverse disposizioni che puniscono condotte intrinsecamente pacifiche, auspicando un coinvolgimento attivo delle parti sociali nel processo di revisione del disegno di legge(7).
Da ultimo, ci si chiede se la riforma per l’autonomia differenziata ponga problemi per la salvaguardia dell’ambiente. C’è stato un ampio dibattito sul tema, in cui si è evidenziato come la L. 26 giugno 2024, n. 86, recante Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, consenta alle regioni di chiedere competenze aggiuntive in materia ambientale con il rischio di frammentare il livello di tutela ambientale in ragione delle impari risorse finanziarie che ciascun ente può investire e dell’assenza di una visione unitaria nella gestione delle questioni ambientali, che attraversano i confini regionali. Di contro, l’autonomia differenziata può rappresentare anche un’opportunità per le regioni di gestire in maniera più efficiente le risorse naturali, a patto di possedere una capacità economica e gestionale adeguata. Su questi aspetti, il 14 novembre 2024, la Corte costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale sollevata da alcune regioni (Puglia, Toscana, Campania e Sardegna) in merito alla Legge n. 86. Con la sentenza n. 192, la Corte ha dichiarato illegittime alcune disposizioni in essa contenute, tra cui quelle che prevedono: la possibilità che legge di differenziazione adottata sulla base dell’intesa tra Stato e regione trasferisca intere materie, laddove la devoluzione deve essere giustificata, con riferimento alla specifica regione, e riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative; la delega legislativa al Governo priva di idonei criteri direttivi per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP); la previsione dello strumento del DPCM sia per la definizione dei LEP, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla L. 86/2024, che per l’aggiornamento degli stessi. Si attende dunque che il Parlamento colmi il vuoto legislativo derivante dalla pronuncia della Corte, o che i cittadini si pronuncino in merito al referendum per l'abrogazione della riforma, dichiarato legittimo dalla Corte di cassazione con l’ordinanza del 12 dicembre 2024, n. 13.
Una panoramica degli ultimi dieci anni
Descrivere l’evoluzione, negli ultimi dieci anni, dello stato della protezione dell’ambiente in Italia non è un compito semplice, se si considera che gli ultimi anni sono stati caratterizzati da profondi mutamenti dal punto di vista della governance del settore. Sia il piano normativo che quello istituzionale sono stati oggetto di importanti riforme che, benché possano essere salutate con favore, in termini di effettività non hanno prodotto i risultati attesi.
Le modifiche formali dell’impianto giuridico di salvaguardia della natura hanno puntato a rafforzare gli strumenti di tutela. La normativa internazionale, che aveva conosciuto momenti di pausa, se non di vera e propria regressione(8), in questa ultima decade ha ripreso un percorso positivo caratterizzato dalla conclusione di importanti accordi. Il periodo che va dal 2013 ai giorni nostri ha visto la conclusione dell’Accordo di Parigi, che ha posto fine alla ricerca di strumenti giuridici alternativi al Protocollo di Kyoto, che a partire dal 2012 aveva cessato di produrre obblighi di riduzione delle emissioni di gas serra(9). Ma il cambiamento climatico non è stato l’unico protagonista della recente politica internazionale, concentratasi anche su aspetti ancora non sufficientemente affrontati(10).
Una valutazione sull’evoluzione della salute dell’ambiente
L’ordinamento italiano ha compiuto importanti passi in avanti, a partire dalla creazione del Sistema Nazione Protezione Ambiente (SNPA), avvenuto con la L. 28 giugno 2016, n. 132, coordinando il ruolo e le funzioni della agenzie regionali e dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), e dotando il Sistema di poteri ispettivi e compiti di monitoraggio, controllo delle fonti di inquinamento, supporto tecnico-scientifico, raccolta e diffusione dei dati ambientali. L’intento del legislatore è stato quello di garantire su tutto il territorio nazionale standard minimi dei servizi di protezione ambientale, attraverso l’uniformazione delle attività tecniche ambientali delle agenzie regionali, che sono prevalentemente relative al monitoraggio dello stato dell’ambiente, del consumo di suolo, delle risorse ambientali, al controllo delle fonti e dei fattori di inquinamento delle matrici ambientali e delle pressioni sull’ambiente.
In tal senso, appare opportuno richiamare la mancata attuazione dell’art. 9, c. 3 della L. 132/2016, che prevede la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali (LEPTA), quali livelli minimi omogenei in tutto il territorio nazionale per le attività che il Sistema nazionale è tenuto a garantire. I LEPTA dovrebbero garantire che a ciascun cittadino vengano garantite le prestazioni di tipo ambientale di cui ha diritto per Costituzione e, allo stesso tempo, le componenti del SNPA dovrebbero vedersi riconosciute le risorse necessarie per poter garantire agli stessi cittadini le richiamate prestazioni. Il testo della bozza di DPCM per la definizione dei LEPTA è stato trasmesso dal Presidente dell’ISPRA e del Consiglio SNPA al Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nel dicembre 2020 (ritrasmesso nel giugno 2023) e, ad oggi, è ancora in attesa di approvazione.
Nonostante la riforma, l’Italia appare comunque fragile rispetto alla severità dei fenomeni climatici estremi, ormai troppo frequenti. Tra i numerosi episodi negativi, preme citare alcuni eventi che, da nord a sud, negli ultimi anni hanno provocato estrema apprensione. Nel luglio 2022 un’enorme porzione di ghiaccio sulla Marmolada è collassata, provocando undici vittime e numerosi feriti. Si tratta di un ghiacciaio monitorato da tempo, in quanto il 70% della sua superficie si era dissolta negli ultimi trenta anni. Ancora, nel novembre 2022, un forte nubifragio si è abbattuto sull’isola di Ischia, determinando allagamenti e una colata detritica nella zona del Celario, causando otto vittime e la distruzione di diverse abitazioni. In ultimo, una serie di eventi alluvionali e geologici ha colpito l’Emilia Romagna nel maggio 2023, provocando numerosi allagamenti, straripamenti e frane che hanno coinvolto 44 comuni e causato diciassette decessi. Dopo tali avvenimenti purtroppo l’area è stata nuovamente interessata da ulteriori fenomeni alluvionali nei mesi di settembre e ottobre 2024. Le menzionate precipitazioni hanno determinato fenomeni di piena e crollo degli argini di diversi bacini idrici, causando l’allagamento di interi centri abitati, inclusi alcuni quartieri della città di Bologna.
Tali eventi hanno evidenziato, ancora una volta, tutte le problematiche relative alla situazione di dissesto idrogeologico del nostro Paese, aggravata dalla mancanza di adeguate misure di adattamento, mai adottate anche per l’approvazione tardiva del PNACC, di cui non può essere certamente responsabile solo il governo attualmente in carica. I problemi menzionati si collocano in un contesto che ha mostrato negli anni le sue difficoltà. Nell’ultimo decennio, infatti, gli addetti ai lavori hanno evidenziato criticità connesse al consumo del suolo, in aumento nonostante il calo demografico, alla mancanza di leggi efficaci per contrastare il riscaldamento globale, all’insufficienza degli investimenti di settore.
Questa situazione di estrema gravità, ormai perdurante, non ha tuttavia convinto il governo a intraprendere una decisa sterzata nelle politiche di riduzione dei combustibili fossili e nella riconversione delle strutture impegnate su tali fronti, che appaiono ormai inevitabili. I decisori politici seguitano a esplorare la possibilità di battere vie alternative, quali il nucleare, il gas naturale e i biocarburanti, tanto che la bozza di aggiornamento del Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC) continua a prevedere tali possibilità, che però non sembrano in linea con gli obiettivi e le tempistiche della transizione ecologica.
Probabilmente il settore più colpito dagli eventi meteorologici è l’agricoltura. Secondo le stime dell’Agenzia europea per l’ambiente (EEA), l’Italia potrebbe subire entro la fine del secolo un’enorme perdita di valore dei terreni agricoli (fra 34% e 60% rispetto alla media del periodo 1961-1990). Tale situazione comporterebbe un danno economico ingente e un crollo della produttività che metterebbe a repentaglio l’esercizio del diritto al cibo. Di contro, in luogo di un approccio onnicomprensivo al problema, la risposta politica è stata incentrata sulle deroghe alle disposizioni vigenti per le misure fitosanitarie, aprendo all’utilizzo di sostanze chimiche.
Il bilanciamento degli interessi e il ruolo della giurisprudenza
Il filo conduttore che caratterizza l’analisi dell’ultimo decennio è il concetto di fondo secondo cui la tensione tra l’interesse economico e quello relativo alla tutela dell’ambiente debba conoscere una prevalenza del primo. Tale prospettiva è presente, ad esempio, nel D.l. 12 settembre 2014, n. 133, Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive. Gli interventi di questo tipo hanno avuto l’effetto di alleggerire la tutela effettiva dell’ambiente, sollevando dubbi di costituzionalità.
Il bilanciamento degli interessi rappresenta quindi la via da percorrere per garantire un intervento equo che tenga in debita considerazione le esigenze di salvaguardia dell’ecosistema. Proprio le misure derogatorie per favorire l’attività economica a scapito della salute sono state oggetto della giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha avuto modo di interpretare il nuovo articolo 9 della Costituzione nella sentenza 7 maggio 2024, n. 105, concernente il sequestro degli impianti di depurazione di Priolo Gargallo, disposto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Siracusa, nell’ambito di un’indagine per disastro ambientale a carico di aziende petrolchimiche. Nello specifico, la questione di costituzionalità riguardava l’art. 104-bis, c. 1-bis.1 del D.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, come introdotto dal D.l. 5 gennaio 2023, n. 2, Misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale, che autorizza il Governo ad adottare “misure di bilanciamento” per tutelare gli interessi economici nazionali e l’occupazione. Secondo la Corte, la norma non protegge adeguatamente la salute e l’ambiente, costringendo il giudice a far proseguire l’attività anche qualora le misure non fossero ritenute sufficienti a tutelare questi interessi. L’art. 9 costituisce pertanto un limite alla libertà di iniziativa economica, per cui le misure per assicurare la continuità produttiva di uno stabilimento di interesse strategico nazionale devono essere temporanee e prevedere un termine massimo di 36 mesi.
Occorre inoltre rilevare come, in questi casi, l’accesso alle informazioni e alla giustizia in materia ambientale rivesta un ruolo centrale, consentendo un efficace bilanciamento degli interessi. A tal proposito, vengono in rilievo le disposizioni della già citata Convezione di Aarhus e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani. Gli ordinamenti nazionali devono garantire ai cittadini la possibilità di ricorrere a procedure di revisione amministrativa e giurisdizionale, qualora ritengano violati i propri diritti.
La storia infinita del dissesto idrogeologico e il nesso con la tutela del suolo
Secondo i dati del terzo Rapporto ISPRA sul dissesto idrogeologico in Italia, il 93,9% dei comuni italiani (7.423) è a rischio di frane, alluvioni e/o erosione costiera che, in termini di persone in pericolo, corrispondono a 1,3 milioni di abitanti con riferimento alle frane e 6,8 milioni di individui relativamente ad alluvioni e inondazioni.
In presenza di un territorio così fragile, dovrebbe essere realizzato un intervento pubblico di difesa del suolo, unitario e sistemico, come già rilevato a più riprese, a partire dal 2002 dal Ministero dell’ambiente. Tuttavia, è evidente che il problema si debba porre in termini più ampi, per favorire una nuova consapevolezza dei rischi, basata su un’informazione adeguata e trasparente, che favorisca l’intervento ordinario e preventivo. La manutenzione è uno strumento determinante per ridurre il dissesto idrogeologico. Inoltre, come rilevato dal Presidente dell’ISPRA, un consistente contenimento del consumo del suolo è solo la premessa “per garantire una ripresa sostenibile dei nostri territori attraverso la promozione del capitale naturale e del paesaggio, la riqualificazione e la rigenerazione urbana e l’edilizia di qualità, oltre al riuso delle aree contaminate o dismesse”(11).
Dal punto di vista del consumo del suolo un’azione conoscitiva e di controllo pubblico viene effettuata nel quadro del SNPA, che diffonde le informazioni al pubblico attraverso il Sistema informativo nazionale ambientale (SINA). Analizzando i dati del Rapporto Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici 2023, che fornisce aggiornamenti sulla perdita di risorse ambientali dovuta all’occupazione di superficie originariamente agricola, naturale o semi naturale, l’Italia è tra i paesi europei in cui il suolo è maggiormente minacciato, con una copertura artificiale che, nel 2022, si estende per oltre 21.500 km2, il 7,14% del suolo italiano, arrivando a consumare altri 77 kmq, 10% in più del 2021. Secondo i dati più recenti, al 2023, il consumo del suolo è cresciuto a livello nazionale rispetto all’anno precedente, e continua ad aumentare alla velocità di circa 20 ettari al giorno.
Purtroppo anche su questo aspetto la volontà dei decisori politici non sembra seguire l’interesse pubblico e le raccomandazioni tecniche, quanto piuttosto le pressioni private di carattere economico. Il disegno di legge 1309 (c.d. Salva Milano), presentato al Senato della Repubblica dopo l’approvazione della Camera dei Deputati il 21 novembre 2024, nell’intento di interpretare le disposizioni in materia edilizia e urbanistica per far ripartire i lavori nei cantieri sottoposti a sequestro, amplia notevolmente il concetto di ristrutturazione edilizia, eliminando sostanzialmente l’obbligo di approvazione preventiva di un piano particolareggiato nei casi di edificazione di nuovi immobili, di sostituzione di edifici esistenti, che determinino la creazione di altezze e volumi eccedenti i limiti oggi previsti. In tal modo, attraverso una semplice Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) si potranno costruire edifici alti più di venticinque metri al posto di edifici bassi, senza gli oneri di urbanizzazione previsti per le nuove costruzioni. Diversi esponenti delle associazioni di categoria e dell’università hanno rivolto un appello ai Senatori chiedendo di non approvare il progetto di legge in quanto sottrarrà ai consigli comunali “il potere di controllare che i costruttori e i fondi immobiliari facciano l’interesse pubblico, e cioè realizzino, insieme ai nuovi palazzi, anche i servizi per la città”.
La normativa sugli eco-reati tra aspetti formali e sostanziali
La menzionata L. 68/2015 è finalmente intervenuta a rimediare ad alcune lacune dell’ordinamento italiano, prevedendo sanzioni maggiormente dissuasive nei confronti di attività dannose che possono provocare un significativo peggioramento della qualità delle risorse naturali. Il provvedimento ha introdotto nel Libro II del Codice penale un nuovo titolo VI-bis, Dei delitti contro l’ambiente, contenente le fattispecie di reato di inquinamento ambientale, morte o lesioni come conseguenza di tale delitto, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale radioattivo, impedimento del controllo, omessa bonifica, ispezione di fondali marini. I fenomeni di inquinamento più gravi sono inseriti nel contesto delle c.d. ecomafie, e prevedono circostanze aggravanti con aumento della pena nei casi di associazione per delinquere e di stampo mafioso dirette a commettere delitti ambientali.
Oltre alla previsione di nuovi reati e nuove aggravanti, il legislatore ha esteso a tali fattispecie la confisca obbligatoria dei beni utilizzati, il ripristino della situazione antecedente a carico del soggetto condannato e il raddoppio dei termini di prescrizione. Tuttavia, secondo il rapporto Ecomafia 2024, pubblicato da Legambiente nel 2023, si è registrata una crescita dello 15,6% dei reati contro l’ambiente, con una media di 97 reati al giorno. Dal punto di vista qualitativo, il maggior numero di violazioni ha riguardato tre settori: gli illeciti legati all’uso del cemento, i reati contro la fauna e quelli connessi al ciclo dei rifiuti.
Una questione di sostenibilità: la prevenzione dell’inquinamento atmosferico oltre la tutela della salute
I rapporti dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e di alcune organizzazioni della società civile hanno mostrato criticità importanti per alcune città italiane, in cui gli episodi di inquinamento atmosferico acuto sono in continua crescita, così come i giorni di sforamento del limite giornaliero di 50 microgrammi/metro cubo per il PM10 (35 giorni all’anno), e la media annuale degli inquinanti tipici dell’inquinamento atmosferico quali le polveri sottili e il biossido di Azoto. L’ISPRA ha in più occasioni rilevato la presenza di disomogeneità territoriali in relazione al fenomeno dell’inquinamento atmosferico, e rimarcato la necessità, per migliorare la qualità dell’aria, di politiche ambientali strutturali supportate da strumenti di valutazione preventiva dell’efficacia. La piena attuazione della normativa europea in materia consentirebbe un risparmio annuale di circa 50 miliardi € di costi sanitari e ambientali. Per questi motivi, è fondamentale conformarsi pienamente ai valori limite di qualità dell’aria, prossimamente oggetto di una nuova direttiva su misure aggiuntive per migliorare la qualità dell'aria nell'UE ed eliminare i danni per la salute umana, gli ecosistemi naturali e la biodiversità. In tale direttiva verranno stabiliti limiti e obiettivi più rigorosi per il 2030 per gli inquinanti con gravi ripercussioni sulla salute umana e, in caso di violazione, la possibilità per le vittime di accedere alla giustizia per ricevere un risarcimento.
La necessità di interventi di bonifica e il bilanciamento degli interessi (non dei diritti) in gioco
Un altro ambito di forte criticità per il territorio e per l’ambiente è rappresentato dai siti contaminati da attività industriali. I siti d’interesse nazionale (SIN), in base all’ art. 252, c. 1 del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, vengono individuati in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti, al rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni culturali e ambientali.
Nel 2020 è stata realizzata una banca dati nazionale per i siti contaminati, accessibile online per la gestione e diffusione dei dati. Nell’elenco è naturalmente presente l’area dell’ex ILVA di Taranto, da sempre simbolo della contrapposizione tra interessi economici e ambientali, che è arrivata sino all’attenzione della Corte europea dei diritti umani nel caso Cordella e altri c. Italia. Nella sentenza del 24 gennaio 2019, i giudici di Strasburgo hanno rilevato l’obbligo positivo dello Stato di adottare tutte le misure necessarie ad assicurare il rispetto della vita privata e familiare dei loro cittadini, cosa invece esclusa dalla normativa italiana, in particolare il D.l. 4 luglio 2015, n. 92, Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l'esercizio dell'attività d'impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, con cui veniva garantita la continuità dell’attività produttiva senza tenere conto dei gravi rischi, scientificamente accertati, per la salute e per l’ambiente provocati dalle emissioni dello stabilimento. In tal senso, la normativa italiana non bilanciava correttamente gli interessi in gioco, propendendo totalmente per quello economico(12).
Una valutazione complessiva
Certamente in questi anni è cresciuta in Italia la consapevolezza nei confronti delle criticità normative, riscontrandosi una maggiore integrazione fra l’azione del SNPA e quella della magistratura per contrastare gli eco-reati. Una costante azione di monitoraggio e controllo delle problematiche impattanti sulla qualità della vita degli individui è fondamentale. Il consumo irrazionale del suolo, la presenza di discariche abusive, l’esposizione del territorio ai fenomeni di dissesto idrogeologico o a eventi meteorologici estremi limitano sostanzialmente l’esercizio dei diritti.
Purtroppo, dall’analisi condotta, bisogna concludere che non è attualmente rinvenibile quel cambio di passo necessario nel cammino verso la transizione ecologica. I miglioramenti attesi a seguito dell’approvazione del Green Deal europeo, nel dicembre 2019, sono stati spazzati via dalla pandemia, che ha distolto completamente l’attenzione dalle questioni ambientali, e dalla crisi energetica globale, che ha condotto molti Stati europei a orientare le proprie politiche energetiche verso un maggiore uso di gas naturale e il ripristino delle centrali a carbone.
La transizione, per essere efficace, dovrebbe essere progettata tenendo debitamente in considerazione gli aspetti sociali e ambientali, affrontando le cause della crisi. Le misure estemporanee, quali il blocco una tantum dei veicoli maggiormente inquinanti, le moratorie sulle trivellazioni, la concessione di piccoli incentivi per la mobilità sostenibile non costituiscono una risposta adeguata a problemi sistemici, evidenziando la carenza di una visione che superi il modello attuale e l’incapacità di sfruttare le storiche occasioni che in questi anni si sono presentate alla classe dirigente.
La pandemia, pur nella sua tragicità, ha rappresentato un’opportunità per un ripensamento sistemico delle politiche sulla sostenibilità, magari nell’ottica di un approccio one health. In quest’ottica, ai sensi dell’art. 27 del D.L. 30 aprile 2022, n. 36, Ulteriori misure urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), è stato istituito il Sistema nazionale prevenzione salute dai rischi ambientali e climatici (SNPS), con l’intento da parte del legislatore di migliorare e armonizzare le politiche e le strategie messe in atto dal Servizio sanitario nazionale per la prevenzione, il controllo e la cura delle malattie acute e croniche, trasmissibili e non trasmissibili, associate a rischi ambientali e climatici. Con il DPCM del 29 marzo 2023, è stata istituita la Cabina di regia per favorire l’interazione e l’integrazione tra SNPA e SNPS che non ha ancora prodotto risultati tangibili. Ci si domandava, lecitamente, se l’emergenza pandemica avesse aperto “una crepa nel dogma monolitico della crescita”(13). Invece, le risposte hanno propenso verso il ripristino dello status quo ante, piuttosto che nella direzione di una reale trasformazione sociale ed ecologica. Le istituzioni hanno trascurato le esigenze ambientali che, per un ampio periodo di tempo, sono state soppiantate dalla narrazione emergenziale ed escluse dai decreti finalizzati al rilancio dell’economia e delle politiche sociali, trovando accoglimento solo parziale nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) adottato nel 2021 e successivamente modificato nel 2023.
Una nuova speranza: l’approccio basato sui diritti umani alle questioni ambientali il caso dei contenziosi climatici
Negli ultimi anni sempre più organi giurisdizionali, sia interni che internazionali, hanno sviluppato prassi decisionali legate agli obblighi statali di contenimento della temperatura terrestre, quale condizione fondamentale per l’esercizio dei diritti umani. È evidente, come sottolineato nei casi Fondazione Urgenda c. Paesi Bassi e Neubauer e altri c. Germania, che per contenere in modo adeguato i rischi ci deve essere un equilibrio tra gli interventi di mitigazione e di adattamento(14). Spetta allo Stato definire il giusto bilanciamento tra le due tipologie di misure, tenendo in debita considerazione le evidenze messe a disposizione dei decision-makers dalla comunità scientifica internazionale. Il punto d’equilibrio è da rinvenirsi caso per caso, in ragione della particolare situazione di ciascuno Stato, valutandone la vulnerabilità agli effetti del riscaldamento globale, le capacità economiche e tecnologiche, così come il contributo che storicamente lo Stato ha apportato all’alterazione del clima globale, in linea con il principio delle responsabilità comuni ma differenziate. La Corte europea dei diritti umani, che è all’avanguardia dal punto di vista della tutela ambientale, avendo costantemente interpretato in modo estensivo le disposizioni relative al diritto alla vita (art. 2) e al diritto alla vita privata e familiare (art. 8) della Convenzione europea dei diritti umani (CEDU), ha adottato una storica sentenza, il 9 aprile 2024, nel caso Verein Klimaseniorinnen Schweiz c. Svizzera. In tale occasione, la Corte ha accertato la violazione, da parte del governo svizzero, dell’obbligo di adottare misure concrete per la riduzione sostanziale e progressiva delle emissioni di gas serra, al fine di raggiungere la neutralità climatica prevista a livello internazionale. Secondo i giudici, lo Stato non ha agito diligentemente con riferimento alla progettazione, sviluppo e attuazione del quadro normativo sul clima, violando i suoi obblighi positivi. La tesi secondo cui la definizione della politica climatica rientra nelle prerogative dell’esecutivo e, in quanto tale, è sottratta alla valutazione del potere giudiziario, è stata sconfessata dai giudici secondo cui la democrazia non può essere ridotta alla volontà della maggioranza, senza rispettare i requisiti dello stato di diritto. La magistratura deve sempre garantire la necessaria supervisione del rispetto dei diritti. Tale supervisione era stata preclusa a livello interno per la dichiarata inammissibilità del ricorso da parte dei tribunali svizzeri, che ha condotto la Corte di Strasburgo ad accertare anche la violazione dell’art. 6 sul diritto a un equo processo.
Questo passo in avanti non è stato ancora compiuto dai tribunali italiani che hanno avuto la possibilità di pronunciarsi sul caso A Sud e altri c. Italia. Nella sentenza del 26 febbraio 2024, il Tribunale civile di Roma ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione. Secondo i giudici, la domanda comportava un riesame della sfera di poteri che la Costituzione riserva al legislatore, in quanto le decisioni attinenti alle modalità e ai tempi di gestione del fenomeno climatico, che comportano discrezionali valutazioni socio-economiche, rientrano nell'ambito della sfera politica. Date le circostanze, ci sono buone probabilità che negli anni a venire, una volta esaurite le vie di ricorso interne, la questione venga portata all’attenzione della Corte di Strasburgo, con riferimento a potenziali violazioni dell’Italia relative agli artt. 6 e 8 della CEDU.
Raccomandazioni
Alla luce di quanto precede, si ritiene opportuno formulare alcune raccomandazioni al Governo e al Parlamento.
- La politica deve perseguire, senza esitazioni, l’obiettivo della neutralità climatica, riducendo rapidamente le emissioni di gas serra da qui al 2030, coinvolgendo tutti i settori e vietando i sussidi alle fonti fossili. Il compimento di questo step è fondamentale per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, così come richiamati ne risultati del primo global stocktake, e in linea con i dati forniti dai rapporti del Panel intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC).
- In quest’ottica, non ci si può esimere dall’aggiornamento del PNIEC, inadeguato rispetto agli obiettivi previsti nel PNRR.
- Se finalmente è stato approvato il PNACC, in via complementare, appare necessario approvare una legge sul consumo del suolo, migliorare il controllo sull’effettiva applicazione degli strumenti normativi già esistenti, in primis la L. 68/2015, e procedere speditamente alla bonifica dei SIN.
- Rispetto all’autonomia differenziata, sarebbe opportuno prevedere un’attenta valutazione circa le richieste di competenze ambientali, seguita a un’analisi basata su dati scientifici, sia nell’interesse della regione che effettua la richiesta che dello Stato.
- Inoltre, si ritiene opportuno raccomandare l’adozione del decreto per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali e delle modalità operative per il monitoraggio.
- Nella prospettiva di promuovere un approccio sistemico tra la protezione dell’ambiente e la tutela della salute, sarebbe utile rafforzare l’interazione e la cooperazione tra SNPA e SNPS.
- Si raccomanda al legislatore l’abrogazione delle norme che criminalizzano e puniscono le azioni di protesta dei giovani attivisti per il clima.
Note
(1) - L. cost. 11 febbraio 2022, n. 1, Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell'ambiente.
(2) - In tali termini si era espressa la sezione italiana del World Wide Fund for Nature (WWF) con riferimento all’attuale legislatura, https://www.wwf.it/pandanews/ambiente/2023-indietro-tutta-ambiente-in-italia/.
(3) - Si vedano, in tal senso, le numerose affermazioni e prese di posizione negazioniste circa il fenomeno del cambiamento climatico, nonché gli attacchi alle associazioni ambientaliste di alcuni esponenti politici.
(4) - Adottato definitivamente dal Consiglio il 17 giugno 2024, il regolamento è direttamente applicabile negli ordinamenti interni e prevede una prima fase (entro il 2030) in cui i Paesi dovranno ripristinare il buono stato di salute di almeno il 30% degli habitat naturali in pericolo. Nella seconda fase, la percentuale si alza al 60% entro il 2040 per arrivare successivamente al 90% entro il 2050.
(5) - Il Regolamento definisce obiettivi di riduzione degli imballaggi, fissati al 5% entro il 2030, 10% entro il 2035 e 15% entro il 2040, imponendo, in particolare, la riduzione dei rifiuti di imballaggi di plastica.
(6) - È importante ricordare che le Nazioni Unite promuovono politiche di segno opposto, finalizzate a proteggere i difensori dell’ambiente. L’Accordo di Escazù sull’accesso alle informazioni, la partecipazione pubblica e la giustizia in materia ambientale in America latina e nei Caraibi (2018) è stato il primo strumento giuridico vincolante ad includere una norma ad hoc sui difensori dei diritti umani in campo ambientale. In ambito europeo. Inoltre, le Parti alla Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (1998), tra le quali c’è anche l’Italia, hanno istituito la figura del Relatore speciale sui difensori ambientali.
(7) - OSCE, ODIHR, Opinion on Certain Articles of the Bill No. 1660 Relating to Countering Terrorism, Public Security, Protection of Personnel in Service and Prison Regulations, Warsaw, 27 May 2024.
(8) - Cfr. A. Crescenzi, G. Tamburelli (a cura di), 50 anni dalla Conferenza di Stoccolma. Un diritto internazionale dell’ambiente in regressione?, Editoriale Scientifica, Napoli, 2023.
(9) - S. Marchisio, Il diritto internazionale dell’ambiente, in G. Cordini, P. Fois, S. Marchisio, Diritto ambientale. Profili internazionali, europei, comparati, Giappichelli, Torino, 2024, pp. 26-28.
(10) - Ad esempio, la Convenzione di Minamata sul mercurio (2013) e l’Accordo sulla conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità marina in aree al di là delle giurisdizioni nazionali (2023), nonché il negoziato attualmente in corso per adottare, entro il 2024, un trattato sull’inquinamento derivante dall’uso di plastiche.
(11) - SNPA, Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici, Report SNPA 37/23, 2023, p. 6.
(12) - Diversi provvedimenti sono stati oggetto di contestazione, inclusa l’esclusione della responsabilità penale per le condotte poste in essere da parte dei commissari o futuri acquirenti dell’ex ILVA.
(13) - A Buon Diritto, Rapporto sullo stato dei diritti in Italia 2020. I diritti al tempo della pandemia, 2021, p. 48.
(14) - G.G. Nucera, Le misure di adattamento al cambiamento climatico tra obblighi internazionali e tutela dei diritti umani, Editoriale Scientifica, Napoli, 2023, pp. 346-348.
Tina Merlin
Il 9 ottobre 1963 è una data che gli abitanti della valle del Vajont non dimenticheranno mai. Precisamente alle 22:39 di quella sera una colossale frana - stimata in circa 260 milioni di metri cubi di roccia - si stacca dal Monte Toc e si rovescia nel bacino idrico sottostante: la diga del Vajont, che conta 115 milioni di metri cubi d’acqua. Si alza un’onda alta secondo alcune stime dai 150 ai 200 metri di altezza, che, dividendosi in due parti, investe i paesi di Longarone, Erto e Casso. I I danni sono inestimabili. I morti sono calcolati in 1900 persone, tra i quali 487 bambini.
Il “disastro del Vajont”, più che prevedibile, era praticamente certo. Da anni gli abitanti del luogo denunciavano la pericolosità dell’opera, da anni Tina Merlin cercava inutilmente di dare loro voce sul panorama nazionale.
Classe 1926, Tina aveva deciso di seguire le orme del fratello Antonio, comandante partigiano ucciso in combattimento, e aderire alla Resistenza. Staffetta durante il conflitto, dopo la guerra era diventata giornalista e scrittrice. Iniziò in questo ruolo una profonda e duratura collaborazione con l’Unità, di cui fu per tre decenni corrispondente da diverse zone del nord-est. Fu proprio ricoprendo tale ruolo che Tina Merlin conobbe la vicenda della diga del Vajont, sulla quale più volte prese posizione, denunciando la bomba a orologeria che si sarebbe innescata mettendo in funzione l’invaso. Non solo i suoi avvertimenti caddero nel vuoto, ma nel 1959 venne denunciata dal conte Vittorio Cini, ultimo presidente della SADE, l’azienda elettrica privata che controllava la diga. Accusata di "diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico", la giornalista fu processata e poi assolta nel 1960.
In seguito al disastro Tina realizzò un saggio dal titolo “Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont”, nel quale ripercorreva la lunga serie di eventi che portarono a quel maledetto 9 ottobre. Nel libro si denunciano apertamente le pratiche adottate dalla SADE per imporre alla valle e ai suoi cittadini l’impianto, la complicità delle istituzioni, le falsificazioni dei dati idrogeologici, i tentativi di insabbiamento e di mistificazione dei fatti ai danni dell’opinione pubblica. Anche per questo, incredibilmente, nonostante la portata della tragedia, per vent’anni non ci furono editori disposti a pubblicare il saggio, che andrà in stampa solo nel 1983.
Intanto nel novembre 1967 per il disastro saranno rinviate a giudizio undici persone: membri del Ministero dei Lavori Pubblici, dirigenti della SADE e dell’ENEL. Alla fine ci saranno solo due piccole condanne. Molti anni dopo la tragedia, in sede civile, ENEL, Montedison (che aveva assorbito la SADE) e lo Stato saranno condannati al pagamento dei danni ai comuni vittime del disastro.
Quest’ultima fase giudiziaria Tina Merlin non poté seguirla; era morta, a 65 anni, nel 1991.