L’immigrazione in UE
Nel 2021 si registra un aumento dei movimenti migratori verso l’Europa: 151.417 arrivi via mare e via terra, rispetto ai 99.907 del 2020, il dato più alto dal 2018. Mentre in Spagna i numeri sono in linea con l’anno precedente e in Grecia si registra un evidente calo(1), l’Italia si conferma il primo paese europeo per numero di ingressi.
Il 2021 si caratterizza anche come l’anno con più decessi dal 2016: 3.224 persone hanno perso la vita nel tentativo di attraversare una frontiera europea. Le rotte del Mediterraneo (Orientale, verso la Grecia; Centrale, verso l’Italia; Occidentale, verso la Spagna) sono sempre tra le più pericolose.
La cd. Guardia Costiera libica, di cui da anni si denunciano le violenze e gli abusi perpetrati a danni dei migranti, continua a essere supportata politicamente ed economicamente dall’Italia(2). Per disincentivare e bloccare le partenze dalla Tunisia, Italia e Unione Europea hanno stretto con le autorità tunisine un accordo per implementare i rimpatri dei cittadini tunisini e allo stesso tempo rafforzare i controlli alla frontiera(3).
Le principali nazionalità registrate al momento dell’arrivo sono: Tunisia, Marocco, Algeria, Afghanistan ed Egitto. I cittadini afghani, in particolare, sono quasi raddoppiati dall’anno precedente. Numerosi sono anche i migranti di cui è stato possibile determinare solo la regione di provenienza, quella sub sahariana, ma non la nazionalità.
Alle porte dell’Unione, l’escalation di violenza e tensioni in Ucraina e al confine con la Russia continua a costringere le persone ad abbandonare le proprie case e cercare di sopravvivere in altre zone del Paese: a luglio 2021 si stimava la presenza di quasi un milione e mezzo di sfollati interni(4).
La crisi afghana, che ha raggiunto il picco ad agosto con il ritorno al potere dei Talebani, ha costretto decine di migliaia di persone a fuggire dal Paese.
Nel mese di ottobre, un’altra crisi umanitaria si è aperta al confine tra Bielorussia e Polonia. La prima ha iniziato a utilizzare migliaia di migranti, intenzionati a entrare in UE per chiedere protezione internazionale – si tratta soprattutto di cittadini afghani, iracheni e siriani -, come strumento di pressione politica verso l’UE, organizzando il loro accompagnamento alla frontiera polacca. La Polonia ha risposto militarizzando il confine e respingendo con la forza e con le armi qualsiasi tentativo di attraversamento, costringendo queste persone a nascondersi nelle foreste circostanti, senza riparo, acqua e cibo. Si stima che 21 persone nel 2021 abbiano perso la vita, anche a causa delle condizioni atmosferiche avverse(5). La Commissione Europea, invece di tutelare l’incolumità dei migranti e il diritto a chiedere protezione internazionale all’interno dell’UE, come prevedibile, ha proposto una serie di misure per gli Stati limitrofi – Lettonia, Lituania e Polonia -, in cui si avalla di fatto la sospensione del diritto di asilo(6).
L’anno appena trascorso, quindi, ha ulteriormente sconfessato le politiche di gestione dei flussi migratori e di asilo europee, dimostrando l’inefficacia delle soluzioni ossessivamente proposte in chiave repressiva e securitaria, che ormai rappresentano l’ultimo feticcio di una Unione sempre più fragile.
Il Patto su migrazione e asilo, presentato dalla Commissione Von Der Leyen a fine settembre 2020, conteneva una serie di proposte di riforma del CEAS(7): superamento del Regolamento Dublino III, procedure accelerate e uniformi per l’esame delle domande di protezione internazionale, implementazione delle procedure di rimpatrio e l’utilizzo normalizzato del trattenimento dei migranti alle frontiere. Da più di un anno il dibattito è in seno alle istituzioni europee competenti ma, nonostante una Road map dettagliata del processo di riforma, nessun atto è ancora stato approvato. Se da un lato questo ritardo costituisce un punto a favore dei diritti dei migranti e dei richiedenti asilo, eccessivamente compressi dal pacchetto di riforme, dall’altro desta preoccupazione l’instabilità politica e sociale alle frontiere UE e tra i singoli Stati membri sui temi dell’immigrazione. Il rischio che con l’aggravarsi di alcune situazioni, le istituzioni rispondano con ulteriori misure emergenziali, o con proposte ancora più drastiche, è più che concreto, trattandosi di un modus operandi già visto in passato.
Nel corso del 2021, sono state presentate 630.890 domande di protezione internazionale in UE, di cui 535.255 per la prima volta. Anche questo dato, in linea con quanto affermato nel paragrafo precedente, dimostra un sensibile aumento dei numeri rispetto agli anni precedenti. Il totale dei richiedenti asilo è pari circa allo 0,1% dell’intera popolazione dell’UE. Ancora una volta, quindi, il “peso” delle domande non dovrebbe essere tale da mettere in crisi l’intero sistema europeo. I paesi in cui sono state presentate il maggior numero di domande sono Germania, Francia, Spagna, Italia e Austria(8). Sembra quindi paradossale che altri Stati che non sono chiamati a gestire una quota uguale di domande e il cui contributo è stato oggettivamente scarso, se non inesistente, siano i principali oppositori di una condivisione più solidale ed equa delle responsabilità, proprio come imporrebbe l’art. 80 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).
Le principali nazionalità registrate al momento dell’arrivo sono: Tunisia, Marocco, Algeria, Afghanistan ed Egitto. I cittadini afghani, in particolare, sono quasi raddoppiati dall’anno precedente. Numerosi sono anche i migranti di cui è stato possibile determinare solo la regione di provenienza, quella sub sahariana, ma non la nazionalità.
Le espulsioni e gli allontanamenti dei cittadini stranieri sono il vero pallino delle politiche europee sull’immigrazione. Non c’è schema di riforma in materia che non ponga ossessivamente l’accento sulla necessità di trattenere gli stranieri irregolari e i richiedenti asilo per definire la loro posizione sul territorio ed espletare le pratiche per il rimpatrio. Il Patto non fa eccezione, come descritto in questo capitolo dello scorso rapporto. Basti ricordare il distorto concetto di solidarietà europea che si ricava dalla lettura del pacchetto di riforme: gli Stati che non sono intenzionati ad accogliere i richiedenti asilo ed esaminare le loro domande di protezione possono optare per supportare un altro Stato nella gestione delle espulsioni. Nel 2021, in UE 342.100 cittadini di paesi terzi sono stati destinatari di un provvedimento di allontanamento e nello stesso anno sono 82.700 gli stranieri che effettivamente hanno lasciato il territorio dell’Unione, di cui 9.400 ucraini, la nazionalità più colpita assieme all’Albania(9). Come si evince facilmente da questi dati, solo un quarto delle procedure si sono concluse positivamente: un numero relativamente basso rispetto al totale dei provvedimenti di allontanamento. Perché dunque ostinarsi a mantenere lo stesso impianto fallimentare delle politiche precedenti, se questi sono i risultati?
La situazione in Italia
Sono 67.477 i migranti arrivati sulle coste italiane nel 2021, quasi il doppio rispetto all’anno precedente e il dato più alto dal 2019. Numeri in aumento ma che, di certo, non possono tornare a far parlare di “invasione” o “sostituzione etnica”, costituendo circa lo 0,1% del totale della popolazione residente.
Anche il dato dei morti e dei dispersi ha registrato un aumento, dalle 955 persone del 2020 alle 1.496 del 2021. La rotta del Mediterraneo centrale si conferma, ancora una volta, la più letale dell’area(10).
Se nel 2020 il grosso delle partenze è avvenuto dalle coste tunisine, nel 2021 la Libia è tornata il principale paese da cui imbarcarsi. Tuttavia, i dati sulla Tunisia confermano una tendenza in aumento costante. Triplicate le partenze dalla Turchia – 12.916 nel 2021 e 4.190 nel 2020 -, da cui i migranti scelgono di rischiare la rotta marittima, più pericolosa rispetto a quella balcanica via terra, ma in cui non corrono il rischio di subire respingimenti illegali o atti di violenza da parte della Polizia alle porte dell’UE. Da questa rotta passano soprattutto iracheni, iraniani e afghani(11).
Per quanto riguarda la protezione internazionale, nel 2021 le domande sono aumentate del 109% circa, sicuramente per l’incremento degli arrivi, ma anche per la riapertura delle Questure – Uffici Immigrazione dopo le chiusure e le limitazioni adottate nel 2020. Il tasso di riconoscimento di una delle tre protezioni previste dal nostro ordinamento (status di rifugiato, protezione sussidiaria, protezione speciale) è salito al 44%(12), rispetto ai numeri molto bassi degli anni precedenti, grazie anche alla riforma della protezione speciale introdotta dal Decreto Lamorgese di cui si dirà meglio nel capitolo successivo.
I trattenimenti all’interno dei Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) e i provvedimenti di espulsione continuano a rappresentare l’unica opzione contemplata dall’Italia per la gestione dell’immigrazione irregolare. Nel 2021, i decreti di espulsione e di respingimento notificati a cittadini stranieri sono stati 11.095(13); mentre sono 975 i cittadini di paesi terzi che nello stesso periodo hanno lasciato l’Italia in seguito a una procedura di allontanamento (ritorno volontario, ritorno volontario assistito, ritorno forzato), di cui 780 con accompagnamento alla frontiera delle forze dell’ordine e, nella maggior parte dei casi, in seguito a trattenimento in CPR(14).
Le principali nazionalità per cui è stato possibile eseguire l'allontanamento forzato sono: Albania, Tunisia, Nigeria, Ucraina, Ghana e Georgia(15). Il ricorso sistematico alla privazione della libertà personale non appare quindi giustificato, risolvendosi solo come un inutile accanimento nei confronti di persone che lo Stato non sarà mai in grado di rimpatriare e, una volta decorso il termine massimo per il trattenimento, dovrà rimettere in libertà senza però rilasciare alcun documento, esponendole a un nuovo rischio di trattenimento. Nonostante il timido tentativo di rispondere alle esigenze degli stranieri presenti sul territorio e senza permesso di soggiorno, arrivato con la Regolarizzazione del 2020, il Testo Unico sull’Immigrazione (TUI) rimane una legge criminogena e anacronistica che, senza un adeguato intervento riformatore, continuerà a generare irregolarità.
La protezione speciale a un anno dal Decreto 130/2020
In questo capitolo, nel Rapporto dello scorso anno, è stata descritta la modifica apportata dal Decreto Legge 130/2020 alla protezione speciale, introdotta dal Decreto Sicurezza I in luogo del permesso di soggiorno per motivi umanitari. In sintesi, la versione originaria della protezione speciale prevedeva la tutela di quei richiedenti asilo che, pur possedendo i requisiti per il riconoscimento della protezione internazionale non potessero beneficiarne per motivi ostativi(16): si trattava di una platea poco numerosa di potenziali beneficiari. Il Decreto 130, dell’ottobre 2020, è poi intervenuto per modificare in maniera sostanziale gli stessi presupposti del riconoscimento, facendoli ricadere sulla tutela della vita privata e familiare, in collegamento con l’art. 8 della Convenzione europea sui diritti umani (CEDU).
Il numero delle protezioni speciali concessa nel 2019 e 2020, infatti, è stato molto basso: rispettivamente 616 e 757(17). Nel 2021, i dati del Ministero dell’Interno ci dicono che ben 6.329 protezioni speciali sono state riconosciute. Il tasso di riconoscimento delle protezioni per l’anno scorso era pari al 44% rispetto al 24% del 2020 e al 19% nel 2019(18). Siamo, quindi, tornati ai numeri precedenti al Decreto Sicurezza I, in cui il permesso di soggiorno per motivi umanitari riusciva comunque a garantire alle situazioni non ascrivibili alla protezione internazionale una forma di tutela.
Tale incremento era prevedibile e fisiologico poiché, dopo l’iniziale novità dell’istituto abbinata a una profonda fase di incertezza sulla sua applicazione generata dal repentino cambio di normativa, le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, i Tribunali e il Viminale nel 2021 hanno iniziato a definire in maniera più marcata i confini della sua applicazione e quali situazioni meritassero di confluire al loro interno. Si tratta principalmente di persone con un percorso di integrazione e radicamento sul territorio dimostrabili (contratti di lavoro, certificati di lingua italiana etc.) oppure con legami familiari da tutelare dal rischio di allontanamento dello straniero irregolare e infine di soggetti vulnerabili il cui rientro del Paese d’origine arrecherebbe un grave pregiudizio al benessere psico-fisico.
Quanto appena detto vale per la protezione speciale riconosciuta nell’ambito della domanda di protezione internazionale. Bisogna ricordare che il relativo permesso può essere rilasciato anche in seguito a un’istanza rivolta direttamente al Questore competente, in seguito all’intervento del Decreto 130/2020.
Questo doppio canale era già previsto per il permesso di soggiorno per motivi umanitari ma eliminato dal Decreto Sicurezza I. Uno dei principali nodi da sciogliere nel 2021 ha riguardato le modalità di presentazione dell’istanza così come il ruolo della Questura – Ufficio immigrazione e della Commissione territoriale nel procedimento.
A marzo, il Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere del Viminale ha diramato una circolare con cui si dava istruzione alle Questure di dichiarare irricevibili le istanze presentate. Secondo il Dipartimento, la norma concedeva la facoltà del Questore di concedere il permesso per protezione speciale solo se il cittadino straniero avesse chiesto un permesso “per altro motivo”, inciso non presente nel testo della legge(19), andando in senso contrario anche a quanto esplicato dalla Corte di Cassazione nella Relazione n. 94/2020 proprio sulle novità del Decreto 130(20). La Commissione Nazionale per il diritto di asilo, anche in seguito a numerosi ricorsi presentati contro i rigetti delle istanze per irricevibilità e dei relativi accoglimenti dei Tribunali, è intervenuta definitivamente sul punto con la circolare del 19 luglio(21). Secondo la Commissione, le istanze presentate direttamente al Questore sono perfettamente ammissibili ma, ovviamente, devono essere correlate da tutti gli elementi utili alla valutazione. Le domande devono essere trasmesse dalla Questura alla Commissione territoriale competente che entro 30 giorni esprime un parere, adeguatamente motivato sulla base della documentazione allegata, da considerarsi vincolante. Considerando quest’ulteriore competenza delle Commissioni, così come la facoltà di valutare il rilascio del permesso per cure mediche nell’ambito delle domande di asilo, le stesse da organo preposto all’esclusivo riconoscimento della protezione internazionale si stanno gradualmente trasformando in un soggetto chiamato “a valutare le esigenze di tutela dei diritti umani tout court, sia nella procedura di protezione internazionale sia al di fuori della stessa”, come riportato nella medesima circolare.
Nonostante l’ormai classico tentativo, tutto italiano, di dare sistematicamente un’interpretazione più restrittiva alle norme che disciplinano l’immigrazione – tentativo in questo caso paradossale proprio perché il Decreto 130 è stato approvato per limare i limiti assai rigidi posti dai Decreti Sicurezza - le indicazioni di quest’ultima circolare finalmente ristabiliscono chiarezza tra le due procedure per la protezione speciale.
A un anno dalla modifica normativa che ne ha disegnato l’attuale formulazione, tale protezione è diventata un efficace strumento per la regolarizzazione di tutti quei cittadini stranieri che pur non possedendo i requisiti per il riconoscimento della protezione internazionale non possono comunque essere allontanati dal territorio senza arrecarvi un danno rilevante. Tuttavia, il coinvolgimento delle Commissioni territoriali in ciascuna delle due procedure rischia, ancora una volta, di incanalare verso la domanda di protezione internazionale anche soggetti che invece dovrebbero beneficiare di misure di altro tipo per accedere al permesso di soggiorno. Ci si riferisce, in particolare, ai cittadini stranieri destinatari di un’offerta di lavoro o che hanno perso i requisiti per il mantenimento del permesso o che sono presenti in Italia da un considerevole periodo di tempo. Solo l’introduzione di un meccanismo di regolarizzazione individuale permanente all’interno del TUI, la riforma sui canali di accesso legali per lavoro o ricerca lavoro e di quelle norme che rendono molto difficile mantenere la regolarità del soggiorno, possono gradualmente svuotare quella sacca di irregolarità che si è venuta a creare a causa di una normativa criminogena e ormai anacronistica, e allo stesso tempo evitare che il canale della domanda di asilo rappresenti l’unica soluzione per chi non ha un documento.
Gli afghani e la protezione internazionale in Unione Europea
In seguito al ritiro del contingente NATO dall’Afghanistan, ad agosto 2021 i Talebani hanno ripreso militarmente il controllo del Paese aprendo una drammatica crisi umanitaria e politica. Nella memoria di tutti sono ancora presenti le immagini dei civili all’aeroporto di Kabul che, in cerca di fuga, precipitano dagli aerei in decollo o in volo.
La risposta dell’UE non è stata unanime, come spesso accade sui temi dell’immigrazione. Circa 22.000 cittadini afghani sono stati evacuati dal 15 al 30 agosto(22). Si trattava soprattutto di personale di supporto ai contingenti e alle rappresentanze degli Stati occidentali e alle ONG attive nel paese. Alcuni Stati membri, tuttavia, si sono rifiutati di accogliere le persone in fuga per vari motivi(23).
Pur accogliendo con favore le disordinate ma apprezzabili operazioni di evacuazione, non si può non evidenziare la grande ipocrisia europea verso i migranti afghani negli ultimi dieci anni.
Storicamente, le domande di asilo dei cittadini afghani nell’UE hanno un tasso di riconoscimento della protezione internazionale sorprendentemente basso. Allo stesso modo, in questi anni, alcuni Stati membri si sono impegnati a garantire i rimpatri dei cittadini afghani sul loro territorio. Stesso discorso va fatto per i respingimenti alla frontiera, in particolare per gli afghani che percorrono la rotta balcanica i quali, oltre alle intemperie, devono fronteggiare le violenze della Polizia macedone, croata e bosniaca, per poi vedersi respinti anche dalle autorità italiane al confine sloveno. Infine, e qui viene da chiedersi come sia stato possibile tollerarlo, non bisogna dimenticare le migliaia di afghani bloccati in Grecia e sulle sue isole, in campi profughi dalle condizioni indecenti e inaccettabili, finanziati e sostenuti dall’UE.
Nel biennio 2015-2017, quando per la prima volta nell’Unione è stato adottato un programma di ricollocamento dei richiedenti asilo tra Stati membri derogando il regolamento Dublino III, nonostante le domande di protezione dei cittadini afghani fossero stabilmente tra le più numerose registrate e il conflitto armato nel Paese fosse ancora in corso, si decise in ogni caso di ammettere al programma solo siriani, eritrei e cittadini la cui nazionalità avesse un tasso di riconoscimento della protezione particolarmente elevato(24). Numerosi afghani sono tuttora bloccati in Grecia anche perché la loro richiesta di adesione al programma non è mai stata accettata.
Da agosto, invece, tutto è cambiato. Adesso l’Unione riconosce la necessità di offrire protezione a chi fugge dall’Afghanistan. Ma solo a chi è arrivato con i ponti aerei; non alle persone che, dopo anni, ancora vagano alle porte dell’Europa, in attesa di accedere alla domanda di asilo e a tutte quelle forme di assistenza che dovrebbero essere garantite.
Immigrazione e accesso alle informazioni. Quando la poca chiarezza della PA rischia di pregiudicare i diritti delle persone
Le norme che disciplinano l’asilo e l’immigrazione sono il risultato di continui ritocchi periodici, ciascuno frutto di stagioni e convinzioni politiche differenti. Mettere ordine in un contesto così complesso e ingarbugliato non è compito facile ancorché necessario. Il TUI trova la sua origine nel 1998 ma, da allora, pressoché ogni esecutivo che si è succeduto ha abrogato, integrato o modificato qualche sua parte, senza preoccuparsi di mantenere un impianto normativo organico, chiaro e aggiornato.
L’intera disciplina del diritto di asilo, delle modalità di esame delle domande di protezione e dell’accoglienza è contenuta in atti differenti, collegati sì tra loro e al TUI, ma che non permettono facilmente una lettura complessiva.
A ciò, si aggiunga che alle leggi si affianca un universo di circolari – come abbiamo avuto modo di vedere anche nel paragrafo sulla protezione speciale – emanate da uffici diversi e che a volte forniscono indicazioni o chiarimenti contrastanti tra loro, contribuendo ad aumentare la confusione e l’incertezza.
Fornire informazioni corrette ed esaustive è fondamentale, soprattutto quando riguardano la regolarità del soggiorno, che ha un impatto rilevante sulla vita dei cittadini stranieri. Tale accortezza dovrebbe essere in primis una preoccupazione della PA. Non di rado, tuttavia, ci si imbatte in interpretazioni discrezionali, errate o volutamente restrittive della legge da parte degli uffici preposti a gestire l’immigrazione.
L’esempio di cui si tratterà brevemente in questo paragrafo è relativo alla Regolarizzazione del 2020 e all’accesso a tale programma dei richiedenti asilo.
Nel Decreto Rilancio del maggio 2020, il Governo ha deciso di adottare un programma di regolarizzazione dei lavoratori stranieri, impiegati in determinati settori produttivi, al fine di far emergere i rapporti di lavoro irregolari o di instaurarli ex novo, permettendo ai cittadini stranieri di ottenere un titolo di soggiorno per lavoro. La possibilità di presentare la domanda era estesa a tutti gli stranieri comunque presenti in Italia prima dell’8/3/2020.
Il testo della norma non aggiungeva ulteriori dettagli in merito al possesso di un permesso di soggiorno o alla pendenza di una domanda di asilo: infatti, il canale della protezione internazionale è, o dovrebbe essere, autonomo e indipendente rispetto alla richiesta di qualsiasi altro permesso di soggiorno e allo stesso tempo compatibile con la stessa(25). Su questo punto, né il Governo né i Ministeri dell’Interno e del Lavoro avevano tuttavia concordato una linea e non erano state diramate le opportune indicazioni alle Prefetture e alle Questure, coinvolte nella procedura di regolarizzazione.
Come spesso accade, ciascun ufficio ha deciso discrezionalmente come interpretare la norma e non sono mancati casi eclatanti abusi che hanno effettivamente pregiudicato i diritti dei richiedenti asilo: alcune Questure, per esempio, hanno imposto come condizione di accesso alla regolarizzazione la rinuncia alla domanda di protezione o la diretta esclusione dei richiedenti, valutando incompatibili le due domande in contemporanea(26). Rinunciare alla richiesta di asilo comporta la perdita del relativo permesso di soggiorno, del diritto all’accoglienza e alle altre tutele previste.
Non si tratta, quindi, di un’indicazione che può essere data in maniera superficiale, proprio per le rilevanti conseguenze che porta con sé. Né si dovrebbe impedire a un cittadino straniero di accedere alla richiesta di asilo, pur avendo richiesto un permesso ad altro titolo.
Dopo numerose denunce della società civile, nei mesi successivi sono state diramate tre circolari per chiarire i passaggi della procedura di regolarizzazione per i richiedenti asilo, ai quali è stata garantita la possibilità di fare domanda e, al termine delle procedure, eventualmente scegliere quale permesso ottenere.
Questo semplice, ma indicativo, esempio dimostra come l’assenza di informazioni chiare, da fornire sempre ogni volta che si adotta un provvedimento nel campo dell’immigrazione, sia uno dei principali fattori che determinano la violazione o la compressione dei diritti dei cittadini stranieri, spesso in balia delle interpretazioni della normativa da parte degli uffici locali.
Note
(1) - https://www.lenius.it/migranti-2021/
(2) - https://www.oxfamitalia.org/aumentano-i-fondi-italiani-alla-guardia-costiera-libica/
(3) - https://www.rainews.it/archivio-rainews/articoli/Migranti-Tunisia-Presidente-Kais-Saied-incontra-Lamorgese-Johansson-e1e25ac2-c0b8-4e62-8304-7bb5041c5278.html
(4) - https://reports.unocha.org/en/country/ukraine/card/2bMBM0ECTo/
(5) - https://www.medicisenzafrontiere.it/news-e-storie/news/polonia-bielorussia-confine-migranti/
(6) - https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=COM%3A2021%3A752%3AFIN&qid=1638547296962#
(7) - https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_20_1706
(8) - Fonte: Eurostat
(9) - Fonte: Eurostat
(10) - https://missingmigrants.iom.int/region/mediterranean?region_incident=All&route=All&year%5B%5D=2500&month=All&incident_date%5Bmin%5D=&incident_date%5Bmax%5D=
(11) - Fonte: UNHCR
(12) - Fonte: Ministero dell’Interno – Dipartimento libertà civili e immigrazione
(13) - Fonte: Eurostat
(14) - Fonte: Eurostat
(15) - Fonte: Eurostat
(16) - Si tratta della commissione di crimini particolarmente gravi come: crimini contro la pace, di guerra, l’umanità; reati gravi prima di entrare in Italia; reati che comportano la valutazione della pericolosità sociale.
(17) - Fonte: Ministero dell’Interno – Dipartimento libertà civili e immigrazione
(18) - Fonte: Ministero dell’Interno – Dipartimento libertà civili e immigrazione
(19) - https://www.cgil.lombardia.it/wp-content/uploads/2021/03/circolare-interno-19-03-2021-protez-speciale.pdf
(20) - https://www.meltingpot.org/2020/12/corte-suprema-di-cassazione-relazione-su-d-l-n-130-2020/
(21) - https://www.meltingpot.org/2022/02/protezione-speciale-art-19-t-u-i-nuove-integrazioni/
(22) - https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2021/698776/EPRS_BRI(2021)698776_EN.pdf
(23) - Per un’analisi più dettagliata: https://ecre.org/wp-content/uploads/2021/12/Evacuations-pathways-to-protection-and-access-to-asylum-for-Afghans-in-Europe_FINAL.pdf
(24) - Per un’analisi dettagliata sul programma di relocation, si veda il rapporto di A Buon Diritto Onlus APS Should I stay or should I go? (https://www.abuondiritto.it/rapporti-e-ricerche/should-i-stay-or-should-i-go)
(25) - Sul rapporto tra la Regolarizzazione 2020 e la domanda di protezione internazionale: https://www.ismu.org/wp-content/uploads/2021/03/Morlotti_De-Franchi_Regolarizzazione_Paper_II.pdf
(26) - Si veda il comunicato di A Buon Diritto Onlus APS sulle richieste delle Questure – Ufficio immigrazione di Roma e Varese: https://www.abuondiritto.it/notizie/2020/notizia/da-alcune-questure-una-richiesta-illegittima-e-discriminatoria
Jerry Masslo
“Pensavo di trovare in Italia uno spazio di vita, una ventata di civiltà, un'accoglienza che mi permettesse di vivere in pace e di coltivare il sogno di un domani senza barriere né pregiudizi. Invece sono rimasto deluso. Avere la pelle nera in questo paese è un limite alla convivenza civile. Il razzismo è anche qui: è fatto di prepotenze, di soprusi, di violenze quotidiane con chi non chiede altro che solidarietà e rispetto. Noi del terzo mondo stiamo contribuendo allo sviluppo del vostro paese, ma sembra che ciò non abbia alcun peso. Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato ed allora ci si accorgerà che esistiamo.”
Jerry Essan Masslo è stato un rifugiato politico sudafricano. Nato nel paese dell'apartheid, arrivò in Italia alla fine degli anni ‘80 dopo essere cresciuto nella violenza e nella discriminazione. Suo padre era uno dei tanti desaparecidos (o missing) della dittatura sudafricana. La sua famiglia una delle tante di fatto schiavizzate per mantenere al potere un’élite corrotta, incapace e profondamente violenta. Combatté nel suo paese per abbattere questo regime a rischio della sua vita e di quella dei suoi familiari. Perseguitato, dovette far scappare i suoi in Zimbabwe e, in seguito, fuggì lui stesso.
Fuggì, appunto, da clandestino. Nell'unico modo in cui si può fuggire da tanti, troppi paesi. Fuggì per cambiare vita, per cercare un futuro migliore per sé e per la propria famiglia. Fuggì perché era giusto farlo. Fuggì per combattere ancora. Arrivò in Italia. Irregolare. Il nostro governo gli rifiutò lo status di rifugiato, probabilmente per non turbare i rapporti con l'aberrante regime sudafricano. E Jerry, per sopravvivere, andò a fare il bracciante nel meridione. Lottò anche lì, lottò fino alle fine. Fino a quando fu ucciso da dei delinquenti comuni che affrontò coraggiosamente mentre tentavano di derubare lui e altri migranti della misera paga quotidiana all'interno della baraccopoli nella quale viveva.
Vorremmo davvero scrivere che, da allora, vi siano stati cambiamenti importanti. Vorremmo, ma non lo scriveremo. Perché quando, nel giugno 2018, è morto Soumaila Sacko - e prima e dopo di lui molti altri - abbiamo visto e letto cose anche peggiori rispetto al 1989. Perché le storie di quelli come lui, quelli che ci ricordano che da qualche parte, vicino e lontano, molti soffrono, devono essere accantonate e tenute nascoste. Perché chissà che ci si renda conto che gli oppressi non hanno confini.
Scusaci Jerry, avremmo voluto scrivere un finale migliore ma per ora non possiamo farlo. Ma non temere, il libro della storia non è chiuso, e sull'ultima pagina saranno quelli come te a lasciare il loro segno.