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Rom e Sinti

Il punto della situazione


Il nuovo decennio, come sappiamo, è iniziato con la diffusione della pandemia da Covid 19 che ha fatto emergere l’estrema esclusione sociale dei cittadini di origine rom e sinti, peggiorando le loro condizioni economiche, sanitarie e sociali. Il 2021, d’altra parte, non è stato l’anno della rinascita come molti auspicavano: le condizioni emergenziali sono proseguite e molte situazioni già critiche sono ulteriormente peggiorate. La solidarietà che aveva caratterizzato i primi mesi del precedente anno ha ceduto il passo alla faticosa gestione del protrarsi della pandemia e all’acuirsi delle criticità. D’altro canto il 2021 può essere definito anche l’anno della progettazione e programmazione degli interventi strutturali per la ripartenza. Il piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non prevede azioni specifiche rivolte ai gruppi rom e sinti, ma sono molte le progettualità previste di cui potranno beneficiare (si pensi ad esempio alla Missione 5 “Inclusione e coesione”). Per quanto riguarda le azioni specifiche si segnala che l’UNAR ha recepito le indicazioni europee per la stesura della nuova Strategia Nazionale d’Inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti e ha intensificato i lavori, in presenza e da remoto, per i Tavoli e le attività di consultazione con gli enti competenti, le parti sociali e il Terzo settore concludendo la redazione e presentando alla Commissione europea il lavoro completo a settembre 2021, come programmato. Parallelamente sono stati conclusi e pubblicati i primi Piani di Azione Locale (PAL) per le comunità rom, sinti e camminanti redatti per 8 città italiane(1) e avviate le progettualità per i Piani di Azione Regionale(2). Le attività portate avanti nel 2021 sono quindi incentrate principalmente sulla gestione delle emergenze e sulla programmazione di interventi futuri dei quali bisognerà monitorare l’effettiva realizzazione. Come viene dichiarato dalla Raccomandazione del Consiglio europeo del 12 marzo 2021 sarà necessario continuare a “ridurre le disuguaglianze strutturali a cui i Rom sono esposti affrontando, ove opportuno, l’accesso limitato dei Rom all’acqua potabile, alle infrastrutture sanitarie e ai servizi sanitari, compresi i servizi di vaccinazione, e la mancanza di strutture e di competenze digitali che consentirebbero ai Rom la partecipazione attiva alla società, compresa l’istruzione a distanza, come pure eliminando gli elevati livelli di precarietà economica, il sovraffollamento abitativo, gli insediamenti o i campi segregati”(3).

La pandemia da Covid 19 ha infatti amplificato le diseguaglianze sociali rendendo visibile anche ai non addetti ai lavori le situazioni di povertà estrema ed esclusione sociale. Chi viveva già in condizioni di disagio ha subito le peggiori ricadute. I dati Istat(4) indicano ad esempio che la condizione delle donne è peggiorata sensibilmente e sono state la netta maggioranza di coloro che hanno perso il lavoro, la povertà assoluta ha toccato il livello più elevato dal 2005 (anno in cui sono iniziate le rilevazioni)(5). Fra le persone rom, sinte e camminanti chi è stato colpito maggiormente sono giovani e bambini (presenti in percentuali più elevate rispetto alla media nazionale), sono i giostrai e chi vive grazie agli spettacoli viaggianti e alle attività informali (come i mercati dell’usato) e più in generale tutti coloro che vivono in insediamenti. In questi contesti, come nel precedente anno, i periodi di lockdown e i confinamenti precauzionali hanno peggiorato condizioni già critiche: gli spazi limitati dei moduli abitativi, da sempre caratterizzati dal sovraffollamento, hanno reso difficile il contenimento dei contagi e le attività di didattica a distanza. L’assenza di servizi, la mancanza di documenti, le forme lavorative informali e le difficoltà ad accedere ai sussidi economici straordinari(6) hanno cronicizzato la condizione di grave povertà ed esclusione in cui vivono numerose famiglie. Queste condizioni hanno reso evidente una situazione nuova: i disagi vissuti, le progettualità avviate e la paura dei contagi hanno accelerato il fenomeno di spopolamento degli insediamenti formali e informali già in corso da alcuni anni(7). Come emerge dall’ultimo rapporto dell’Associazione 21 Luglio “in tutte le città italiane, da nord a sud, sono stati numerosissimi coloro che hanno preferito ritornare nelle proprie abitazioni in Romania, ritenute più sicure e consone a ridurre il rischio di contagi e gli effetti dell’isolamento prolungato”(8).

Sul quadro generale, Il numero dei rom in emergenza abitativa si è ridotto dalle 28.000 unità registrate nel 2016 alle 17.800 unità del 2021, il numero complessivo di insediamenti formali è passato da 149 a 109. Il numero delle persone residenti nei campi italiani è sceso, tra il 2016 e il periodo 2020-2021 di ben 10mila unità, con un decremento pari al 36,5%. Negli insediamenti formali il decremento è molto simile (37%) passando dalle 18mila unità del 2016 alle 11.300 unità del 2020-2021.


C10. Grafico 1 • Comunità rom negli insediamenti formali e informali in Italia - Rapporto 2021 dell' Ass. 21 Luglio


La riduzione del numero di insediamenti è dovuta a una serie complessa di motivazioni ma non è imputabile alle operazioni di sgombero in quanto la moratoria delle esecuzioni degli sgomberi emessa con il Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 dal governo italiano, pur non bloccandoli completamente, ne ha diminuito sensibilmente la quantità(9). Pur considerando i dati sulla riduzione degli insediamenti e i passi avanti che sono stati compiuti dalle amministrazioni locali e internazionali in merito alle strategie di inclusione per rom e sinti, il 2021 non può assolutamente essere considerato un buon anno per queste popolazioni. Il secondo semestre del 2021 è caratterizzato infatti da due eventi tragici che hanno popolato, per qualche giorno, le pagine di cronaca dei media nazionali ma che sono da considerarsi tutt’altro che eventi sfortunati e casuali, in quanto portano a galla le criticità strutturali dei campi che ancora esistono e il perpetrarsi di fenomeni di antiziganismo: la notte del 30 agosto una giovane donna rom è costretta a partorire nella cella dove era detenuta, aiutata solo dalla sua compagna di stanza, anche lei rom, anche lei incinta(10). L’anno 2021 si conclude con la più brutta delle notizie: la morte di due bambini che vivevano nel campo di Stornara. Queste ultime notizie così drammatiche riconducono all’urgenza di agire in modo coordinato e incisivo per cambiare radicalmente le condizioni di rom e sinti, a partire da coloro che vivono negli insediamenti, che si confermano luoghi insalubri e pericolosi, dove le critiche condizioni alloggiative si sommano e intrecciano alle emergenze lavorative e sociali.


Piani e strategie, ma ancora poche azioni


Il “superamento dei campi” faceva parte dell’Asse 4 della Strategia nazionale 2012-2020 dove si sosteneva la necessità del “superamento definitivo di logiche emergenziali e di grandi insediamenti monoetnici e nel rispetto delle opportunità locali, dell’unità familiare e di una strategia fondata sull’equa dislocazione”(11). Con la conclusione del 2020 e l’inizio di un nuovo decennio è possibile affermare che, seppure ci siano stati dei passi avanti nella direzione indicata, l’obiettivo stabilito non è stato raggiunto. Quello degli alloggi costituisce infatti una delle sette aree-chiave(12) del nuovo Piano decennale per sostenere le comunità rom della Commissione Europea(13) sul quale sarà improntata la nuova Strategia italiana e costituisce una specifica raccomandazione agli Stati membri fra quelle emanate dal Consiglio europeo il 12 marzo 2021, dove si afferma in più occasioni che è necessario “garantire la parità di trattamento della popolazione Rom nell’accesso ad alloggi adeguati e desegregati”(14)

La maggior parte degli interventi amministrativi e programmatici attuati prima della Strategia nazionale del 2012 nei confronti dei rom e sinti presenti in Italia sono stati elaborati in ambito comunale e regionale(15). Con le leggi regionali infatti sorgono i primi campi attrezzati, inizialmente pensati come aree sosta per persone itineranti. Da allora hanno costituito una ampia base di sviluppo per gestire il problema abitativo e politico dei rom. L’Italia è diventata così “il paese dei campi”, come fu definita nel 2000 dall’European Roma Rights Centre, l’unica nazione ad aver utilizzato la forma del “camping etnico” quale soluzione abitativa destinata ai gruppi rom, “consentendo l’istituzione, nei fatti, di un sistema abitativo parallelo strutturato su base etnica”(16). Questo approccio ha, negli anni, radicato e consolidato la discriminazione e l’isolamento dei gruppi di rom, ostacolandone la partecipazione alla vita sociale e politica soprattutto attraverso la segregazione spaziale e le pratiche assistenzialiste. Nell’ambito della strategia nazionale sono stati promossi una serie di interventi volti a incentivare la partecipazione dei rom e il superamento delle criticità, fra questi ad esempio il progetto pilota terminato nel 2021 “PAL: Favorire la partecipazione di Rom e Sinti alla vita sociale, politica, economica e civica. Interventi pilota per la creazione di tavoli e network di stakeholder coinvolti a diverso titolo con le comunità Rom, Sinti, Caminanti” promosso dall’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) del Dipartimento Pari Opportunità. La progettualità fa capo all’Azione 9.5.4 dell’Asse 3 - Programma Operativo Nazionale (PON) “Inclusione” 2014-2020(17) che ha coinvolto otto città metropolitane: Milano, Genova, Roma, Cagliari, Napoli, Bari, Messina e Catania. L’obiettivo principale del progetto è stato quello di elaborare otto Piani di Azione Locale finalizzati a favorire l’inclusione sociale e la partecipazione dei gruppi rom e sinti presenti nelle città. Durante l’evento finale di presentazione dei risultati del progetto, il 29 novembre 2021 sono stati presentati i PAL redatti e le criticità affrontate che, come è stato dichiarato, sono la “dimostrazione di quanto sia complesso, lungo e difficile il processo di partecipazione e progettazione di interventi condivisi ed efficaci”(18) non solo per quanto riguarda la partecipazione dei rom ma anche per il mancato coinvolgimento di tutte le amministrazioni locali e di una pluralità di stakeholder. Così come sottolineato dai partner di progetto, sono state riscontrate numerose “criticità legate alle tempistiche, a visioni stereotipate e pregiudiziali, a discontinuità amministrative, ed ancora all’elevato tasso di litigiosità tra gli attori che prendevano parte ai tavoli”(19). Le difficoltà sono state particolarmente rilevanti a Roma e Genova, città nelle quali le amministrazioni comunali non hanno partecipato ai Tavoli, che hanno conseguentemente risentito della mancata rappresentanza: senza l’impegno istituzionale ad adottare i Piani sarà infatti difficile, anche se auspicabile, immaginare che potranno conseguire azioni concrete volte alla realizzazione delle attività indicate nei PAL.


C10. Tabella 1 • Odio online per temi: come e quanto se ne parla nei post e nei tweet. Dal Barometro dell'odio di Amnesty International


La necessità e l’impellenza di superare le criticità e agire in maniera coordinata e rapida appare evidente nel momento in cui si verificano gravi incidenti, come l’incendio avvenuto il 20 dicembre nel campo di Stornara dove hanno perso la vita due fratellini di 2 e 4 anni nella baracca dove vivevano. In questi casi i giornali parlano di “tragedia annunciata”(20) e in effetti si tratta dell’ultimo di una lunga serie di drammi che avvengono negli insediamenti informali e che, nonostante le raccomandazioni e le denunce, continuano ad accadere.


Sfruttamento e pregiudizi, l’esempio dell’ambito penale


Le tragiche morti avvenute a Stornara fanno emergere una lunga serie di problematiche alle quali c’è assoluta urgenza di dare risposte. Innanzitutto c’è il problema abitativo, ma parallelamente ci sono le questioni lavorative. Il territorio dove è accaduto l’incendio fa infatti parte di un’area dove sono presenti numerosi insediamenti informali, luoghi di frequenti incidenti, noti per essere il precario e insalubre riparo di migliaia di braccianti agricoli di origine straniera vittime di sfruttamento lavorativo e caporalato. Lontani dallo stereotipo che li dipinge come scansafatiche e dediti alle attività criminali, fra queste persone ci sono anche molti rom, come quelli che vivevano nell’insediamento di Stornara o quelli che abitano nel Borgo Tressanti(21) a Cerignola, dove secondo alcune stime vivono circa 800 rom originari della cittadina bulgara di Stiven. Le condizioni lavorative sono le stesse di altre migliaia di braccianti stranieri, l’unica differenza con gli altri ghetti rurali è la presenza consistente di donne e bambini. Anche le donne sono impiegate nelle coltivazioni pugliesi e spesso, oltre a essere soggette a sfruttamento lavorativo nei campi, sono vittime di violenze fisiche da parte dei caporali(22).

Eppure le donne rom continuano ad essere vittime anche del pregiudizio che le immagina tutte impegnate in attività illecite. Le donne rom sono infatti soggette a discriminazioni multiple: in quanto rom, in quanto donne, in quanto considerate migranti e nomadi. Discriminazioni, stereotipi, pregiudizi e antiziganismo portano queste persone a essere sovra-rappresentate in carcere(23). Molti studi evidenziano che negli istituti penitenziari italiani ed europei, la sovrarappresentazione di rom e stranieri risulta ancor più marcata in riferimento al genere femminile e ai minori(24). Questo fenomeno, confermato dalla netta prevalenza di detenute rom nei reparti nido e nelle carceri minorili, è stato ricondotto a una “discriminazione strutturale” di tali soggetti dovuta sia alle modalità di intervento delle istituzioni penali, sia alla condizione di esclusione nella quale essi si trovano a vivere(25). A caratterizzare queste persone è soprattutto l’isolamento sociale e culturale di cui sono vittime, le difficoltà di accesso ai servizi pubblici e l’isolamento abitativo. La risposta penale in senso repressivo è quindi il risultato di una cultura che tende a colpevolizzare gli individui per la loro condizione disagiata piuttosto che elaborare progetti politici e sociali che la riducano(26). Gli indicatori di cui disponiamo sulla condizione dei rom che entrano nel circuito penale mostrano che essi non solo sono fortemente discriminati rispetto agli italiani, ma ricevono anche un trattamento peggiore di quello solitamente riservato agli stranieri(27). Vengono condannati più spesso e hanno periodi di detenzione cautelare più lunghi(28). Un caso particolarmente emblematico riguarda le ragazze rom, che rappresentano la quasi totalità delle detenute degli istituti di pena minorili. Le giovani rom vengono incarcerate più spesso non perché hanno commesso reati più gravi delle coetanee che invece riescono a uscire dal circuito penale, ma bensì si trovano in un istituto detentivo, nella maggioranza dei casi, perché non hanno una situazione socio-familiare che corrisponda ai requisiti per assegnare una misura diversa dalla carcerazione(29). Questo fenomeno è così diffuso che coinvolge spesso anche donne incinta, come nel caso della giovane rom che ha partorito nel carcere di Rebibbia.


Uno spaccato sulla scuola, una chiave per il futuro


La così detta “scolarizzazione dei minori rom”, ha rappresentato negli ultimi trent'anni un termometro reale per misurare le politiche inclusive rivolte alla minoranza rom. Anche attraverso grandi investimenti economici delle amministrazioni locali, essenzialmente spesi nell’accompagnamento tra gli insediamenti, formali o informali, e gli istituti scolastici. Interventi delegati, appunto, agli enti locali senza mai avere un quadro complessivo di intervento, quadro che sarebbe utile sia per condividere risultati e buone pratiche sia per delineare una strategia basata su dati e non su buone intenzioni. Una inversione di tendenza è tentata dal Progetto Nazionale RSC. Per tutto il 2021, il Progetto, promosso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in collaborazione con il Ministero dell’istruzione, il Ministero della salute e l’Istituto degli Innocenti - responsabile dell’Assistenza tecnico-scientifica - vede coinvolte 13 città metropolitane. Realizzato dal 2017 nel quadro delle azioni del PON “Inclusione” 2014-2020”, prosegue il percorso avviato nel 2013 nell’ambito della legge 285/97 ampliando significativamente nel tempo il coinvolgimento di territori, scuole, bambini e famiglie RSC. Gli obiettivi principali del Progetto sono: miglioramento dell’inclusione scolastica e del successo formativo dei bambini e adolescenti RSC, il contrasto alla dispersione scolastica, il miglioramento dell’accesso ai servizi socio-sanitari dei bambini e adolescenti coinvolti e delle loro famiglie, la creazione e il consolidamento di una forte rete territoriale e tra le città aderenti.

Aderendo alla Strategia Nazionale, e avendo come obiettivo una sua applicazione tematica diffusa sul territorio nazionale, il Progetto Nazionale per l’inclusione dei bambini RSC nasce con l’intento di ridurre la marginalità e promuovere interventi di inclusione attraverso azioni specifiche che coinvolgono ambiti differenti quali: la scuola, gli spazi abitativi e di vita, la rete locale dei servizi. Gli interventi strutturati con la partecipazione degli istituti scolastici hanno coinvolto non solo tutti i bambini e le bambine destinatari del progetto ma anche insegnanti, dirigenti scolastici e personale ATA muovendo dal presupposto che solo una forte sinergia tra tutti i soggetti coinvolti sia in grado di scardinare logiche discriminatorie e inefficaci forme di assistenzialismo e di esclusione.

I dati registrati su scala nazionale devono essere letti tenendo presente le forti conseguenze scaturite dalla crisi pandemica Covid-19 che ha colpito aspetti privati e sociali di ogni individuo minando drammaticamente l’intero tessuto scolastico tanto nella didattica quanto nella socialità. La chiusura delle scuole, la mancata frequenza, l’isolamento fisico e la sospensione delle relazioni tra pari ha segnato i percorsi di moltissimi bambini e di moltissime bambine condizionando anche l’andamento del Progetto Nazionale che però registra alcuni dati estremamente interessanti. Un ulteriore elemento da tenere in considerazione è la specificità territoriale: le 13 città coinvolte nel progetto coprono l’intero territorio nazionale ma ognuna partecipa sulla base della propria realtà e organizzazione locale che influenza e determina direttamente aspetti centrali come il numero degli istituti scolastici, delle classi e degli alunni coinvolti nel Progetto. Nonostante le difficoltà sopra citate il Progetto ha registrato dati incoraggianti relativi all’aumento dei destinatari, alle classi e alle scuole coinvolte infatti se nel 2017 le scuole coinvolte erano 55, le classi 226 e gli alunni e le alunne 397, nel 2020/2021 si è registrato un notevole incremento con 91 scuole, 396 classi e 590 alunni ed alunne. Va sottolineato che i bambini e le bambine target sono quasi equamente divisi tra maschi e femmine (51% i primi e 49% le seconde) il 56% di loro frequenta la scuola primaria nella quale si registra il maggior numero di classi coinvolte: 216 rispetto le 180 classi di scuola secondaria.


C10. Grafico 2 • L'evoluzione del Progetto Nazionale per l’inclusione dei bambini RSC


Il sistema scuola è senza dubbio il principale luogo di socializzazione e di inclusione per ogni bambino: un contesto scolastico accogliente, inclusivo e attento può generare notevoli benefici sia dal punto di vista relazionale che cognitivo. Gli strumenti di analisi e di lettura dei dati raccolti devono dunque tenere conto di una complessità notevole, nonostante questo però è possibile individuare alcuni elementi che possono aiutare ad analizzare e valutare il grado di inclusione e partecipazione generato dal Progetto: la frequenza scolastica e le promozioni a ordini scolastici successivi. Le chiusure scolastiche, le quarantene, i lunghi periodi di didattica a distanza e la paura del contagio vissuti nel 2021 hanno senza dubbio influenzato in maniera determinante il tasso di frequenza scolastica. Un dato significativo ed esplicativo è che nell’anno 2019/2020 si era registrato il 71% delle presenze per le classi di scuola primaria e il 56% per quelle secondarie. Ebbene, nell’anno 2020/2021 gli stessi paramentri sono scesi al 58% per le classi primarie e al 49% per le classi secondarie. Va però sottolineato che, rispetto al tasso di frequenze scolastica, le differenti realtà territoriali mostrano numeri estremamente eterogenei. Ad esempio Roma è la città con il più basso tasso di presenze scolastiche: il 44% per le primarie e il 27% per le secondarie. Invece Firenze, che è collocata all’estremo opposto della tabelle frequenza medie, registra il più tasso di frequenza scolastica di alunn* RSC: 79% nelle classi primarie e il 69% in quelle secondarie. Le ragioni di questo scarto risiedono non solo nella crisi pandemica ma anche nelle scelte politiche prese prima nel 2015, quando il progetto locale che si occupava di accompagnamento e mediazione scuola-famiglia venne bruscamente interrotto, e poi nella decisione da parte dell’amministrazione successiva di procedere con lo smantellamento di diversi campi presenti sul territorio e nei quali vivevano molti minori che hanno visto interrompere i loro percorsi senza un adeguato sostegno al processo, condivisibile, ma da affiancare necessariamente con percorsi di accompagnamento efficaci e debitamente strutturati.

Tornando al quadro complessivo, le promozioni conseguite dai ragazzi e le ragazze beneficiari del progetto nell’anno 2020/2021 riportano una notevole differenza tra alunni e alunne di scuola primaria (87%) e quelli di scuola secondaria (67%). Percentuali in netto peggioramento rispetto ai dati registrati nell’anno 2019/2020 dove erano stati promossi il 97% dei beneficiari target delle classi primarie e il 93% delle classi secondarie. È da tenere presente che nell’anno 2019/2020, anche dietro espressa indicazione del MIUR, gli istituti scolastici hanno optato per la politica del “promuovere il più possibile” proprio per evitare di condizionare e aggravare i percorsi scolastici di tantissime ragazzi e ragazze duramente colpiti dalla crisi sanitaria, una politica poi abbandonata nel 2020/2021 e che ha portato alunni e alunne a fare i conti con difficoltà e carenze sempre più pesanti e gravi che non sono più state recuperate. Concentrandosi sui meri numeri, per avere uno spaccato dei bambini e le bambine promosse per grado nelle diverse città italiane, Bologna registra un dato eccezionale con il 100% dei promossi in primaria e il 96% in secondaria. Segue Firenze (rispettivamente 100% e 76%) Napoli (91% - 100%) mentre i dati più bassi li registrano Palermo (61% - 57%) Reggio Calabria (71% - 78%) e Roma (77% - 49%). Un quadro di chiaro-scuri che dimostra quanto ancora si debba fare su questo tema. Innanzitutto investendo sulla scuola come perno centrale di interventi a più ampio raggio che coinvolgano famiglie, istituzioni ed enti del terzo settore.


Conclusioni


In conclusione, il 2021 della minoranza rom e sinta ci restituisce da una parte il perpetrarsi delle conseguenze della pandemia da COVID-19, che hanno evidenziato, in molti casi, la distanza con i servizi socio sanitari locali. Dall’altra, però, l’aspetto positivo dell’essere arrivati alla conclusione, che nel 2022 significherà avvio, del percorso di ricezione delle direttive dell'Unione Europea per le strategie nazionali di integrazione che potranno offrire l'opportunità di avviare prima e intensificare poi azioni concrete per superare le persistenti condizioni di esclusione permanente subite da ancora troppa parte della minoranza rom e sinta in Italia. La nuova Strategia, come detto chiusa a settembre 2021 e passata al vaglio delle autorità europee competenti, fornisce ulteriori orientamenti per la pianificazione e l'attuazione delle politiche nel contesto della lotta contro l'antiziganismo e la povertà multigenerazionale per promuovere la partecipazione e il potenziamento dell'autonomia combinando approcci mirati e generali. Auspichiamo che questo rappresenti la base di partenza, più concreta ed efficace della Strategia 2012-2020, per il superamento dei cosiddetti campi-nomadi e soprattutto per l’avvio e il consolidamento di interventi sistemici e integrati alle risorse territoriali, rompendo lo schema delle “politiche dedicate” rimettendo al centro i diritti sociali per tutti e tutte.

Note


(1) - Milano, Genova, Roma, Cagliari, Napoli, Bari, Messina e Catania.

(2) - P.A.R. – Piani di Azione Regionali, sistema di interventi pilota per la creazione di tavoli locali e network di stakeholder coinvolti a diverso titolo con le comunità RSC, al fine di favorire la partecipazione dei Rom alla vita sociale, politica, economica e civica, progettualità a valere sul PON inclusione FSE 2014 – 2020 – Asse 3 “Sistemi e modelli di intervento sociale” – Obiettivo specifico 9.5 – Azione 9.5.4.

(3) - https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=OJ%3AJOC_2021_093_R_0001

(4) - https://www.istat.it/it/archivio/258632

(5) - Oggi quasi il 10% degli italiani (5,6 milioni di individui) è in condizione di povertà assoluta.

(6) - In molti casi i rom non hanno potuto accedere ai sussidi perché impiegati in attività lavorative non formalizzate, inoltre molti sono sprovvisti di regolare residenza, o risultano residenti in abitazioni dove la coesistenza con altre famiglie non permette di rientrare nei limiti necessari per accedere al reddito di cittadinanza.

(7) - Come emerge dagli studi dell’Associazione 21 Luglio questo decremento ha motivazioni differenti: dal desiderio, in particolare delle nuove generazioni, di lasciare autonomamente gli insediamenti per vivere in abitazioni convenzionali, alla necessità di dover lasciare l’insediamento a causa dell’incuria e dell’abbandono in cui molti di questi versano; dall’adozione da parte di amministrazioni virtuose di interventi volti al superamento degli insediamenti attraverso l’attivazione di percorsi di inclusione sociale e abitativa, all’effetto degli sgomberi forzati.

(8) - https://www.21luglio.org/cs-lesclusione-nel-tempo-del-covid/

(9) - Dalle stime dell’Associazione 21 luglio sono stati registrate per tutto il 2020, 70 operazioni di sgombero di comunità considerate rom. Se compariamo tali dati con quelli degli anni precedenti (145 nel 2019, 195 nel 2018, 230 nel 2017 e 250 nel 2016) si coglie che la tendenza a un calo degli sgomberi rispetto all’anno precedente è pari al 51,7% e, rispetto al 2016 pari al 72%.

(10) - https://www.ilpost.it/2021/09/12/donna-parto-da-sola-carcere-rebibbia/

(11) - https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/infanzia-e-adolescenza/focus-on/integrazione-rom-sinti-e-caminanti/Documents/Strategia%20Nazionale.pdf

(12) - le aree-chiave individuate per i futuri interventi sono: uguaglianza, inclusione, partecipazione, istruzione, occupazione, salute e alloggio

(13) - file:///C:/Users/hp/Downloads/La_Commissione_europea_lancia_un_nuovo_piano_decennale_per_sostenere_i_Rom_nell_UE%20(2).pdf

(14) - https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=OJ%3AJOC_2021_093_R_0001

(15) - Sul tema si veda ad esempio Pontrandolfo, 2019 e Ciniero, 2021.

(16) - https://pianiazionelocale-rsc.com/2021/10/25/una-sperimentazione-importante-e-faticosa/

(17) - La realizzazione del progetto è stata affidata, mediante bando di evidenza pubblica, a un’Associazione Temporanea di Imprese formata da: Consorzio nazionale per l’innovazione sociale NOVA Onlus (capofila), Fondazione Romanì Italia, Associazione 21 Luglio, Fondazione Casa della Carità Angelo Abriani. Il progetto, sviluppato tra il gennaio 2019 e il settembre 2021

(18) - https://pianiazionelocale-rsc.com/2021/11/29/conferenza-finale-del-progetto-pal-per-linclusione-delle-comunita-rom/

(19) - Ciniero, Una sperimentazione importante e faticosa, 2021 https://pianiazionelocale-rsc.com/wp-content/uploads/2021/11/03_ART-33-n.9-10-4-ott.x-ciano-CSR-pp.singole.pdf

(20) - Si veda, ad esempio, Foggiatoday https://www.foggiatoday.it/cronaca/bambini-morti-incendio-ghetto-stornara-foggia-commento-sindaco.html

(21) - https://www.meltingpot.org/2016/09/sfruttati-esclusi-e-completamente-abbandonati-dalle-istituzioni-braccianti-rom-a-borgo-mezzanone/

(22) - Il fenomeno delle violenze sessuali a danno delle donne migranti impiegate in agricoltura è stato denunciato in diverse ricerche, per quanto riguarda il caso delle donne rom si rimanda all’articolo “Foggia-Silven andata e ritorno” consultabile al link https://campagneinlotta.org/foggia-sliven-andata-e-ritorno-appunti-per-uninchiesta-militante-sulle-altre-braccia/

(23) - Non esistono rilevazioni nazionali sul numero di rom presenti nelle carceri italiane ma alcune ricerche hanno cercato di dare risposte a questo fenomeno che risulta complesso e non riconducibile a facili e note conclusioni. Per ulteriori approfondimenti si rimanda ad esempio a: Ardolino A. (a cura di), Le catene dell’esclusione, Fralerighe editore, Roma, 2017 e Miscioscia S., Chiuse fuori, Cisu, Roma, 2021.

(24) - Si veda ad esempio, Re L. Il trattamento degli esclusi: minori stranieri detenuti in Italia, in Campesi G., Re L., Torrente G. (a cura di), Dietro le sbarre e oltre. Due ricerche sul carcere in Italia, Torino, L’Harmattan, 2009.

(25) - Si veda Campesi G., Re L., Torrente G. (a cura di), Dietro le sbarre e oltre. Due ricerche sul carcere in Italia, Torino, L’Harmattan E Campesi G., Re L., Torrente G. (a cura di), Dietro le sbarre e oltre. Due ricerche sul carcere in Italia, Torino, L’Harmattan, 2009.

(26) - Re, 2009, p. 56

(27) - Basilio L., 2009, Dal campo al carcere: la ghettizzazione dei minori rom e sinti in Italia, in Campesi G., Re L., Torrente G., Dietro le sbarre e oltre. Due ricerche sul carcere in Italia, Torino, L’Harmattan Italia

(28) - Antigone, 2017, Ragazzi dentro, XIII Rapporto, Roma, p.14.

(29) - Antigone, 2017, Ragazzi dentro, XIII Rapporto, Roma.

Amilcare “Taro” Debar

Amilcare “Taro” Debar

(Frossasco 1927 - Cuneo 2010)
LA STORIA DI AMILCARE DEBAR, IL SINTI CHE DECISE DI IMPUGNARE LE ARMI PER LA RESISTENZA, PER L’ANTIFASCISMO E PER IL SUO POPOLO

Ci sono molti motivi per i quali un uomo può impugnare un fucile. Amilcare ne aveva diversi. Innanzitutto perché combattere il fascismo, negli anni della Seconda guerra mondiale, era un imperativo morale per tutti coloro che volevano lottare per un mondo più giusto. E negli inverni del 1943 e del 1944 la scelta, per lui e per molti altri piemontesi, era chiara: o con i repubblichini o con i partigiani, sulle montagne. Ma per Amilcare la questione era più complessa. Lui era un sinti, uno “zingaro”. La sua gente i nazifascisti la stavano mandando nei lager, stessa sorte di ebrei, omosessuali, oppositori politici.

Amilcare, nome di battaglia “Corsaro”, ne aveva diversi di motivi per imbracciare un fucile.

Eppure il secondo da noi menzionato, per lui, non era certo scontato. Nato nel 1927 nel torinese, crebbe senza i genitori in un orfanotrofio.

Questo tagliò, in un certo senso, i legami con la sua eredità culturale sinti, ma non la voglia di lottare per la libertà, che lo portò a salire sui monti con la 48esima Brigata Garibaldi a soli 17 anni. Era un ragazzino e, come molti altri coetanei, svolse un ruolo essenziale come staffetta. Ma era un guerrigliero, Taro, e ben presto passò al ruolo di combattente vero e proprio, facendosi valere nei violenti scontri che coinvolsero il Piemonte nell’inverno a cavallo tra il 1944 e il 1945, tra le Langhe, dove conobbe anche Sandro Pertini. Infine partecipò alla liberazione di Torino, nell’aprile del 1945. Arrivò la vittoria, o almeno una delle vittorie. Perché nel frattempo, come detto, vi era stato il “Porrajmos”, l’Olocausto degli zingari. Oltre mezzo milione di rom, sinti e appartenenti ad altre popolazioni nomadi erano morti nei campi di sterminio nazisti. L’emergere di questo orrore fece nascere in Taro la necessità di ricollegarsi alle proprie origini, alla propria famiglia, al proprio popolo. Terminato il conflitto si arruolò in un primo momento nelle forze di polizia, e proprio durante questo periodo riscoprì in parte le proprie origini, quando durante un controllo si trovò per le mani, per puro caso, alcuni documenti riguardanti la sua famiglia e i suoi genitori. Decise una volta per tutte di abbandonare il suo ruolo per proseguire con tutte le sue forza la lotta per i diritti di rom e sinti.

“Non importa chi siamo, né da dove veniamo, né in che modo viviamo. Siamo tutti uomini.”

Queste poche parole erano le linee guida del suo pensiero, che lo portarono ad attivarsi per tutto il resto della sua vita per questa causa. Andò a vivere in un campo nomadi dove riscoprì le tradizioni e la vita del suo popolo, si batté a livello istituzionale - e non solo - per il riconoscimento dei diritti di rom e sinti, tra tutti il diritto all’istruzione. Incontrò due presidenti della Repubblica - Saragat e Pertini - e arrivò fino all’Unione Europea e alle Nazioni Unite.

Era cresciuto lottando e morì lottando, Amilcare, nel novembre del 2010. “Siamo tutti uomini”, disse, e per tutti gli uomini visse lottando, sempre schierato con fierezza dalla parte degli ultimi e  degli oppressi.