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Rom e Sinti

Il 2023 e il 2024


Sul disegno di legge sicurezza


Il recente Ddl Sicurezza, approvato dal governo italiano alla Camera nel settembre 2024, introduce una serie di modifiche normative volte a rafforzare il controllo e l’ordine pubblico, includendo nuovi reati, inasprimenti di pena e restrizioni mirate a specifici gruppi sociali. Tra le disposizioni più controverse, spicca la modifica alla sospensione condizionale della pena per detenute madri, che diventa facoltativa e soggetta alla valutazione del giudice. Questo cambiamento potrebbe avere ripercussioni particolarmente gravi sulle donne appartenenti alle comunità rom e sinte, spesso già sovrarappresentate nelle carceri italiane. Nel carcere di Rebibbia di Roma, ad esempio, un terzo delle detenute è di etnia rom, e queste donne rappresentano il 95% delle madri ospitate nei reparti nido, dove i figli possono vivere con le madri fino a tre anni di età. La nuova normativa potrebbe determinare un aumento del numero di donne rom e sinte costrette a scontare la pena in carcere, separandole dai loro figli in una fase cruciale per lo sviluppo infantile. Questo rischio si inserisce in un contesto di già profonda marginalizzazione sociale, aggravando la vulnerabilità economica delle donne e delle famiglie colpite dal provvedimento. La sospensione condizionale obbligatoria offriva un’opportunità per accedere a misure alternative come l’affidamento ai servizi sociali o i programmi di reinserimento, strumenti chiave per interrompere il ciclo della devianza. Rendere questa misura discrezionale rischia di ridurre l’accesso a tali opportunità, specialmente per le donne appartenenti a minoranze etniche, che spesso incontrano difficoltà nel navigare il sistema legale. Secondo un rapporto dell’associazione Antigone, il tasso di recidiva per chi sconta la pena in carcere è del 68%, contro il 19% di chi beneficia di misure alternative. Senza interventi mirati a supportare il reinserimento delle madri rom e sinte, la riforma potrebbe contribuire a perpetuare la loro esclusione sociale e l’alienazione dalle istituzioni.



Il riavvio della piattaforma UNAR


Il 3 dicembre 2024 si è riunita a Roma, dopo un lungo periodo di riunioni a distanza nel posto covid, la Piattaforma Nazionale Rom e Sinti, istituita dall’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali). La Piattaforma è uno spazio di confronto e dialogo dedicato alle questioni che riguardano le comunità rom e sinte in Italia. Creata come strumento di coordinamento nell’ambito del Piano Nazionale RSC, la piattaforma ha l’obiettivo di promuovere il coinvolgimento diretto delle rappresentanze di queste comunità nei processi decisionali che le riguardano, garantendo il rispetto dei loro diritti e favorendo la loro inclusione sociale. Averla riunita in presenza segna un importante passo avanti nel rilancio del dialogo tra istituzioni e comunità RSC.

Storicamente, la piattaforma è stata concepita per facilitare l’interazione tra associazioni rom e sinte, amministrazioni locali, enti del terzo settore e il governo, con un focus su politiche partecipative e non discriminatorie. Tra le sue funzioni principali ci sono il monitoraggio delle politiche pubbliche, la formulazione di proposte migliorative, e il rafforzamento delle reti associative delle comunità stesse. L'incontro ha posto l’accento su temi centrali come la lotta ai discorsi d’odio, il superamento della segregazione abitativa e l’inclusione scolastica. La ripresa dei lavori della piattaforma è stata accolta positivamente, poiché rappresenta un segnale di maggiore attenzione istituzionale e di volontà di collaborazione per affrontare le sfide che le comunità RSC continuano a vivere in Italia.



Una panoramica degli ultimi dieci anni


Nel corso dell’ultimo decennio l'Italia ha affrontato numerose sfide riguardanti l'inclusione e l'integrazione delle comunità rom, sinti e caminanti (RSC). Queste comunità hanno storicamente subito discriminazioni e segregazioni, spesso essendo confinate in insediamenti formali e informali noti come "campi nomadi". Nonostante gli sforzi per migliorare le loro condizioni di vita, molte criticità persistono, e l'Italia rimane uno dei paesi europei con il maggior numero di risorse destinate al mantenimento di questi insediamenti. Questo report offre una panoramica aggiornata sulla situazione delle comunità RSC in Italia alla fine del 2023, riassumendo essenzialmente gli ultimi dieci anni che corrispondono al decennale del Rapporto Diritti, analizzando progetti e criticità emerse. In questo quadro, il primo dato che appare evidente è che fino al 2018 i tentativi di superare i “campi rom” si sono tradotti quasi sempre nella loro costruzione e gestione in nome dell'emergenza sociale e di una presunta temporaneità. Questi campi, spesso situati in periferia e lontani dai servizi essenziali, hanno rappresentato un sistema abitativo parallelo destinato a una popolazione definita etnicamente, ed è stata questa la cifra che ha inevitabilmente condizionato la vita di chi era costretto ad abitarci e soprattutto di chi ci è nato e cresciuto, tra cui difficoltà a frequentare la scuola e quindi nel conseguire titoli di studio, con inevitabili ricadute nell’accedere al mercato del lavoro e fruire dei servizi di welfare.

Alla fine del 2023, il numero di persone rom e sinti che vivono in insediamenti formali e informali in Italia è sceso a 15.800 (nel 2016 erano 28.000). Di questi, 13.300 risiedono in 119 insediamenti costruiti e attrezzati dai Comuni. Le restanti 2.500 persone vivono in insediamenti informali nelle periferie delle grandi città, in tende e abitazioni autocostruite. (1) Circa il 62% degli abitanti di questi insediamenti ha la cittadinanza italiana, mentre il 10% è composto da cittadini rumeni.



C10. Grafico 1 • Insediamenti formali e informali in Italia (2023)




Ancora oggi gli insediamenti formali includono diverse tipologie:


  • Insediamenti all'aperto: situati in zone periferiche, spesso con camper, container o abitazioni costruite con materiali di recupero.
  • Microaree: presenti principalmente al Centro-Nord, su aree di proprietà pubblica, abitate da sinti italiani.
  • Case popolari: con una marcata omogeneità etnica in alcuni comuni come Cosenza e Gioia Tauro.
  • Centri di accoglienza specifica per famiglie di origine rom: presenti a Napoli, Latina e Brescia, che ospitano circa 330 persone.


Gli insediamenti informali, caratterizzati da tende o abitazioni auto-costruite, si trovano principalmente nelle periferie delle grandi città, e il dato più rilevante è che le condizioni sanitarie e l'accesso ai servizi essenziali sono totalmente insufficienti.

È indiscutibile che in questo quadro ha svolto un ruolo positivo l'implementazione della Strategia Nazionale di Inclusione per le comunità Rom, Sinti e Caminanti, varata nel 2012 e che ha fortemente influenzato il decennio successivo. L’impostazione basata sui quattro assi di intervento (casa, lavoro, salute e scuola) e sul tema dello status giuridico ha connotato testi e dibattiti, nazionali e locali, anche se spesso questi sono rimasti solo sulla carta a causa della mancanza di volontà politica, non portando a progressi significativi nel complessivo quadro nazionale. Ad esempio, il dibattito sul riconoscimento dello status di minoranza linguistico-culturale è rimasto confinato tra gruppi e organizzazioni pro-rom, senza raggiungere il Parlamento, con una continua stagnazione nei tavoli nazionali per l'inclusione. Anche la progettualità sulla questione abitativa è stata carente, condizionata dalla questione dello status giuridico, dalle resistenze politiche e dalla mancanza di una strategia condivisa a livello nazionale. Ma tutto ciò non toglie niente all’importanza di continuare sulla strada tracciata dalla Strategia e rinnovata nel 2021 con l’approvazione della nuova Strategia 20-27.

Altrettanto significativa, questa volta in negativo, è stata l'emergenza pandemica del COVID-19. Questa ha avuto un impatto importante su quelle comunità rom e sinti che vivevano già in condizioni di vulnerabilità ed emarginazione. Le organizzazioni del Terzo Settore hanno più volte espresso preoccupazioni per le condizioni igieniche precarie e il sovraffollamento nei campi autorizzati, evidenziando le criticità nel garantire un alloggio dignitoso e sicuro durante il lockdown. In sostanza, la pandemia ha amplificato le diseguaglianze sociali in tutto il paese, creando ulteriori condizioni di emarginazione per chi vive nei così detti “campi nomadi”. Nel 2021, i tavoli nazionali non hanno segnato il rilancio sperato, con l'emergenza sanitaria che ha continuato a peggiorare situazioni già critiche. La solidarietà iniziale del 2020 si è affievolita, complicando ulteriormente la gestione della pandemia e delle sue conseguenze.

In ogni caso, come accennato, l'UNAR ha lavorato intensamente per recepire le indicazioni europee e stendere una nuova Strategia Nazionale d'Inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti, conclusa e presentata alla Commissione Europea nel settembre 2021. È su questo doppio binario che va impostato lo sguardo per avere un quadro attuale alla fine del decennio: il post pandemia che deve necessariamente riportare l’accesso ai servizi pubblici delle famiglie relegate nei “campi nomadi” e l’impatto che la nuova strategia sta avendo sulla situazione nazionale e locale.


La questione abitativa


Nel corso degli anni dal 2014 al 2021, la questione abitativa per le comunità rom e sinte è rimasta un tema di cruciale importanza e complessità. Nel 2015, la Commissione Diritti Umani del Senato emanò una risoluzione che chiedeva al governo di impegnarsi per il superamento del sistema dei campi. Nonostante questo, la problematica dei campi ha continuato a essere una delle più scottanti, con sgomberi forzati che si sono verificati soprattutto nelle grandi città, aggravando le già precarie condizioni di vita delle comunità coinvolte.



C10. Grafico 2 • Persone negli insediamenti formali e informali in Italia 



Ad esempio, tra il 2015 e 2016, a Roma, a causa di una serie di decisioni della giunta capitolina, tra cui il taglio dei progetti contro la dispersione scolastica, c’è stata una generale riduzione dei servizi sociali disponibili e un conseguente deterioramento delle condizioni di vita dei residenti. È poi seguito, però, un nuovo “Piano Rom” della giunta capitolina (2017, Giunta Raggi), che ha cercato di seguire il più possibile le direttive europee soprattutto sul tema casa, favorendo la presentazione massiccia di domande di Edilizia Residenziale Pubblica per le famiglie che ne avevano diritto. Questa tendenza ha continuato anche con la nuova Giunta (Sindaco Marino) e Roma, pur tra difficoltà e contraddizioni, vive una fase che almeno ha invertito la tendenza che l’aveva caratterizzata nel ventennio precedente, cioè quella della costruzione e gestione di “Campi Attrezzati”. Ne parliamo più dettagliatamente più avanti. Ma il quadro nazionale, però, non ha visto miglioramenti significativi. La situazione degli sgomberi forzati e delle condizioni abitative di chi vive in quel sistema che fa dell’Italia il “Paese dei Campi” è rimasta critica, con una sostanziale mancanza di interventi strutturali. La pandemia da COVID-19 nel 2020 ha inevitabilmente peggiorato la situazione a causa delle restrizioni imposte per contenere il virus. Le misure per migliorare le condizioni abitative e superare le barriere strutturali sono state fortemente compromesse, rendendo ancora più difficile garantire un alloggio dignitoso e sicuro. Per non parlare del sovraffollamento e delle condizioni igieniche scadenti, aggravate dalla necessità di seguire le norme di distanziamento sociale. Rimane quindi ancora “non strutturale” l’accesso all’edilizia pubblica e in generale il diritto alla casa delle famiglie rom aventi diritto, lasciando spesso l’iniziativa alle singole famiglie o delle associazioni che le supportano, mentre servirebbe un massiccio investimento di risorse per il superamento dei Villaggi istituzionali e degli insediamenti abusivi, per riprendere i percorsi di inclusione, di scolarizzazione e di sostegno all’autonomia da una condizione di partenza diversa da quella di esclusione perenne e discriminazione generalizzata.


Lo Status Giuridico di minoranza


Anche il riconoscimento dello status giuridico di minoranza per le comunità rom e sinte nell’ultimo decennio ha rappresentato un tema complesso e dibattuto, caratterizzato da iniziative, resistenze politiche e una generale mancanza di progressi concreti. Durante questi anni, associazioni e intellettuali hanno promosso varie iniziative per ottenere il riconoscimento ufficiale di queste comunità come minoranze. Ma c’è da dire che tali iniziative hanno a volte incontrato critiche da parte di alcuni attivisti, che temevano che una legge esclusiva potesse stigmatizzare ulteriormente il gruppo. In ogni caso, nonostante l'interesse rinnovato nel corso degli anni, il riconoscimento dello status di minoranza non è mai riuscito a ottenere un sostegno condiviso o un interesse politico sufficiente. La questione è rimasta confinata a discussioni tra gruppi e organizzazioni pro-rom, senza mai arrivare a un dibattito parlamentare o a una proposta legislativa concreta, impedendo così ogni avanzamento significativo verso una piena inclusione giuridica. Questo ha alimentato ulteriormente il sentimento di marginalizzazione e discriminazione, mantenendo le comunità Rom e Sinte in una posizione di vulnerabilità giuridica e sociale.

In particolare la situazione delle famiglie arrivate in Italia durante la guerra nei Balcani continua ad essere critica, con una diffusa irregolarità documentale nonostante ormai il periodo di effettiva residenza in Italia (purtroppo a volte non attestata formalmente) in alcuni casi superi il trentennio. È ormai evidente che sia necessario un intervento politico e nazionale per poter fare uscire dall’irregolarità queste famiglie, composte nella maggior parte da persone nate in Italia.

In sintesi, nell’ultimo decennio, il percorso verso il riconoscimento dello status giuridico di minoranza per le comunità Rom e Sinte è stato costellato da resistenze politiche e mancanza di progressi concreti, con continui ostacoli che hanno mantenuto queste comunità in una posizione di vulnerabilità e discriminazione.


Progetti e Progressi


In ogni caso negli ultimi dieci anni l'Italia ha intrapreso numerosi progetti e iniziative per migliorare le condizioni di vita e l'inclusione sociale delle comunità Rom, Sinti e Caminanti (RSC). Come detto, un pilastro fondamentale per l’implementazione di questi progetti è stata l'attuazione della Strategia Nazionale di Inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti del 2012, che ha segnato un passo importante verso il riconoscimento e la protezione dei diritti di queste comunità. Tuttavia, i progressi non sono stati lineari, con successi e criticità che hanno caratterizzato il decennio. Proviamo schematicamente a riportane alcuni tra i più significativi:

Progetto “Un percorso culturale tra memoria e attualità”Finanziato con i fondi del PON Inclusione, il progetto “Un percorso culturale tra memoria e attualità” ha promosso la cultura RSC attraverso viaggi tematici ad Auschwitz-Birkenau e altri eventi culturali. L'obiettivo era di rimuovere i pregiudizi e rafforzare la memoria storica, contribuendo alla costruzione di una società più inclusiva e consapevole.

PON Inclusione e fondi strutturali europei: Il Programma Operativo Nazionale (PON) Inclusione ha giocato un ruolo cruciale nel finanziamento di numerosi progetti a livello locale. Grazie ai fondi strutturali europei, 13 città metropolitane italiane hanno potuto avviare iniziative mirate all'inclusione abitativa, educativa e lavorativa delle comunità RSC. Questi fondi hanno permesso di sviluppare progetti innovativi e sperimentali, adattati alle specifiche esigenze delle diverse comunità e soprattutto di bambini e bambine iscritti alla scuola dell’obbligo.

Collaborazione con il Terzo Settore: La collaborazione con il Terzo Settore è stata fondamentale per l'attuazione di molte iniziative. Le organizzazioni non governative, le associazioni di volontariato e le fondazioni hanno svolto un ruolo chiave nel supporto delle famiglie Rom, fornendo servizi di mediazione culturale, assistenza legale e supporto psicologico. Questo ha contribuito a creare un ambiente più inclusivo e a migliorare l'accesso ai diritti fondamentali per le comunità RSC.

Progetti Pilota in altre Città Italiane: Nell'ambito della Strategia Nazionale, sono stati promossi vari progetti pilota per incentivare la partecipazione dei Rom e superare le criticità. Uno di questi è stato il progetto "PAL: Favorire la partecipazione di Rom e Sinti alla vita sociale, politica, economica e civica" promosso dall'UNAR del Dipartimento Pari Opportunità. Questo progetto ha coinvolto otto città metropolitane: Milano, Genova, Roma, Cagliari, Napoli, Bari, Messina e Catania. L'obiettivo principale era elaborare Piani di Azione Locale (PAL) finalizzati a favorire l'inclusione sociale e la partecipazione dei gruppi Rom e Sinti presenti nelle città. Durante l'evento finale di presentazione dei risultati del progetto, sono stati evidenziati i progressi fatti e le criticità affrontate, dimostrando quanto sia complesso e lungo il processo di partecipazione e progettazione di interventi condivisi ed efficaci. Tuttavia, le difficoltà sono state particolarmente rilevanti a Roma e Genova, dove le amministrazioni comunali non hanno partecipato ai tavoli, limitando il potenziale impatto dei PAL.


L’approccio delle Regioni


In Italia, sin dagli anni ottanta, la legislazione regionale ha rappresentato un elemento cruciale nelle politiche pubbliche, specialmente per quanto riguarda le comunità rom e sinte. Nel 2019, questa tendenza ha visto una rinnovata enfasi con l'approvazione della prima legge dedicata alle comunità rom nella Regione Calabria e la presentazione di un disegno di legge al Consiglio regionale piemontese. La Regione Calabria ha approvato la Legge n. 436/2019, intitolata “Integrazione e promozione della minoranza romanì”, che ha introdotto importanti novità rispetto alla precedente Legge regionale del 19 aprile 1995, n. 19. Questa legge, approvata il 19 novembre 2019, non ha più scopi meramente emergenziali, ma mira alla promozione della cultura e della lingua della comunità romanì stanziata sul territorio calabrese. La nuova normativa ha portato a riconoscimenti storico-culturali significativi e ha istituito l’Ufficio regionale dell’Osservatorio Territoriale Partecipativo (OTP) e il Garante regionale per i diritti delle comunità romanès calabresi. Questi strumenti sono destinati a tutelare la minoranza romanì, promuovendo scambi reciproci, partecipazione attiva e l’elaborazione e il monitoraggio di politiche differenziate di promozione della comunità romanì, in linea con il paradigma “riconoscimento-partecipazione-responsabilizzazione”. Già nel 2015, la Calabria aveva discusso una proposta di legge per la promozione della lingua romanì, promossa da attivisti per i diritti, giustificando tale necessità con un nuovo indirizzo politico basato sull’integrazione e inclusione, distanziandosi dalle politiche poco differenziate e assistenzialistiche che avevano dominato fino a quel momento.

Di tutt'altro segno è stato il disegno di legge presentato al Consiglio Regionale del Piemonte. Contrariamente alla Calabria, il Piemonte ha una lunga tradizione di legislazione sul tema. Un primo approccio all’argomento risale al 1993, con l’emanazione della Legge n. 26 del 10 giugno, intitolata “Interventi a favore della popolazione zingara”. Diverse sono state le applicazioni di questa legge, spesso ambivalenti, nel corso degli anni. L’8 novembre 2019, è stato approvato un nuovo disegno di legge, denominato “Norme in materia di regolamentazione del nomadismo e di contrasto all’abusivismo”. Proposto dall’Assessore alla Sicurezza Fabrizio Ricca (Lega), il disegno di legge mira alla chiusura dei campi “stanziali e formali” e al divieto di transito sul territorio nazionale per un periodo superiore ai tre mesi. Tuttavia, questo disegno di legge non prevede percorsi alternativi di inclusione né nuove soluzioni abitative dopo lo sgombero forzato. Inoltre, contiene numerose misure discriminatorie nei confronti della comunità rom e rappresenta una evidente violazione dei diritti umani. Le nuove “aree di transito” sarebbero accessibili solo a chi dichiari le proprie generalità e sia in possesso di una speciale smart-card. Per accedere a un alloggio permanente, sarebbe obbligatoria l’applicazione di microchip agli animali domestici e la presentazione di documenti di immatricolazione e assicurazione dei veicoli di proprietà, requisiti non richiesti ai non rom. Le aree di transito verrebbero inoltre monitorate mediante impianti di sorveglianza, e chi rifiutasse una proposta di inserimento lavorativo o presentasse irregolarità nella frequenza scolastica dei bambini verrebbe allontanato. Il disegno di legge piemontese ha rapidamente suscitato contestazioni, evidenziando la violazione dell’articolo 120, comma 1, della Costituzione italiana, che vieta alle Regioni di adottare provvedimenti che ostacolino la libera circolazione e il soggiorno delle persone, nonché il loro lavoro. Le misure proposte appaiono anche in contrasto con la Carta dei diritti fondamentali dell'uomo, il cui principio di non discriminazione è fondamentale, specialmente per la protezione delle minoranze. Il disegno di legge, quindi, oltre a non soddisfare le esigenze della popolazione rom stanziata sul territorio piemontese, alimenta ulteriormente l’esclusione e la ghettizzazione di queste comunità.


Il caso di Roma Capitale


Nel 2019, Roma è tornata al centro del dibattito nazionale sulle politiche di inclusione delle comunità rom, sinti e camminanti, in particolare per le tensioni legate alla questione abitativa. Ad aprile, nel quartiere di Torre Maura, un gruppo di residenti, supportati da esponenti delle organizzazioni di estrema destra Casa Pound e Forza Nuova, ha dato vita a una protesta violenta contro il trasferimento di alcune famiglie rom in una struttura pubblica. L’allora sindaca Virginia Raggi è intervenuta per evitare che la situazione degenerasse, sottolineando il clima di odio che si era creato e riferendo che la procura aveva aperto un fascicolo per odio razziale. Le famiglie rom sono state successivamente trasferite in un altro “centro di raccolta”. Simili proteste sono scoppiate nei quartieri di Casal Bruciato e Torre Gaia, dove i residenti si sono opposti all'assegnazione di alloggi di edilizia popolare a famiglie rom, legittimamente assegnatarie. Le organizzazioni neofasciste hanno strumentalizzato la situazione, accusando l'arbitrarietà dei criteri utilizzati per l'affidamento delle case, sostenendo che favorissero sempre cittadini stranieri. Il Comune di Roma ha ribadito che le assegnazioni erano state effettuate secondo la disponibilità degli immobili e l'ordine delle graduatorie, escludendo qualsiasi discriminazione.

Questi eventi hanno rimesso in luce le criticità delle politiche di inclusione adottate da Roma Capitale. Il "Piano di indirizzo di Roma Capitale per l’inclusione delle Popolazioni Rom, Sinti e Camminanti" (PIRSC), adottato nel 2017, mirava al superamento dei campi monoetnici. Sono stati aperti tre bandi di gara per la sua applicazione, tra cui il progetto d’inclusione sociale per il superamento dei campi La Barbuta e Monachina, affidato alla Croce Rossa e finanziato con fondi del PON-Metropolitano. Gli episodi di cronaca non hanno comunque interrotto il percorso avviato e anche l’amministrazione successiva, guidata dal Sindaco Gualtieri, ha proseguito sulla strada del superamento dei Villaggi Attrezzati esistenti, e nel 2023 sono state aperte le gare ed assegnati i progetti anche per i Villaggi di Candoni, Cesare Lombroso, Salviati, Gordiani e Salone, che sono attualmente in corso. In sintesi, seppur con diverse contraddizioni e difficoltà, Roma ha invertito la tendenza che l’ha caratterizzata per decenni, e si appresta ad continuare la fase in cui centinaia di famiglie rom saranno inserite nel tessuto urbano per rompere la posizione di precarietà e discriminazione persistente in cui hanno vissuto per decenni.

In conclusione, i casi esaminati evidenziano la complessità e le sfide nella gestione delle comunità Rom, Sinti e Caminanti in Italia. Nonostante i progressi e le iniziative positive, persistono criticità significative che richiedono un impegno continuo e coordinato per garantire soluzioni abitative dignitose e sostenibili, promuovendo l'inclusione sociale e il rispetto dei diritti fondamentali.


Sfruttamento e pregiudizi, l’esempio dell’ambito penale


Il fenomeno della discriminazione verso le comunità rom e sinte in Italia si manifesta in modo particolarmente acuto nell’ambito penale, dove i pregiudizi e le pratiche discriminatorie portano a una sovra-rappresentazione di queste comunità nelle carceri. un fenomeno che è stato documentato da numerosi studi. Secondo l'Associazione Antigone, circa il 10% dei detenuti minorili in Italia sono rom, una percentuale che è significativamente superiore rispetto alla loro presenza nella popolazione generale. Questo fenomeno è particolarmente evidente tra le donne e i minori. Ad esempio, le donne rom costituiscono una percentuale significativa delle detenute nei reparti nido delle carceri italiane. Questa sovra-rappresentazione è attribuibile a una "discriminazione strutturale" dovuta alle modalità di intervento delle istituzioni penali e alla condizione di esclusione sociale e culturale in cui vivono. Il sistema penale italiano tende a colpevolizzare queste persone per la loro condizione disagiata piuttosto che sviluppare politiche e progetti sociali che possano ridurre tale disagio. Gli indicatori disponibili mostrano che i rom sono fortemente discriminati rispetto agli italiani e ricevono un trattamento peggiore anche rispetto agli altri stranieri. Vengono condannati più frequentemente e subiscono periodi di detenzione cautelare più lunghi. Un esempio emblematico riguarda le ragazze rom, che rappresentano la quasi totalità delle detenute negli istituti di pena minorili. Queste giovani vengono incarcerate non perché abbiano commesso reati più gravi, ma perché la loro situazione socio-familiare non consente l'assegnazione di misure alternative alla carcerazione. Questo fenomeno è così diffuso che coinvolge spesso anche donne incinte, come nel caso di una giovane rom che ha partorì nel carcere di Rebibbia nel 2021.

Le condizioni di vita nei campi informali e l'assenza di un accesso adeguato ai servizi pubblici aggravano ulteriormente l'esclusione sociale delle comunità rom e sinte, contribuendo a un ciclo di povertà e criminalizzazione. La mancanza di politiche efficaci per l'integrazione sociale e lavorativa, insieme a una forte stigmatizzazione, alimenta un circolo vizioso in cui la marginalizzazione economica e abitativa porta a una maggiore vulnerabilità alle pratiche discriminatorie del sistema penale. Ad esempio, i dati mostrano che le pene detentive inflitte ai rom sono spesso più severe e che i periodi di detenzione cautelare sono mediamente più lunghi rispetto a quelli di altri detenuti stranieri. Secondo il XIII Rapporto di Antigone, la sovra-rappresentazione dei rom tra i minori detenuti è evidente e preoccupante: i rom costituiscono circa il 40% dei minori detenuti in Italia, una percentuale sproporzionata rispetto alla loro presenza nella popolazione generale.

Questa sovra-rappresentazione è il risultato di una serie di fattori strutturali e sociali che includono la discriminazione istituzionale, la mancanza di risorse per la difesa legale e le condizioni di vita precarie che rendono difficile l'assegnazione di misure alternative alla detenzione. La risposta penale in senso repressivo è quindi il risultato di una cultura che tende a colpevolizzare gli individui per la loro condizione disagiata piuttosto che elaborare progetti politici e sociali che possano ridurla. Per affrontare queste problematiche, è necessario un approccio che combini politiche di inclusione sociale, accesso a servizi pubblici adeguati e interventi specifici per eliminare le discriminazioni strutturali all'interno del sistema penale. Solo attraverso un intervento sistemico che affronti le cause profonde della discriminazione e della marginalizzazione sarà possibile ridurre la sovra-rappresentazione dei rom e sinti nelle carceri e promuovere una maggiore equità e giustizia sociale.


Prospettive per il futuro


Guardando al futuro, è evidente che l'Italia deve adottare un approccio più strategico e inclusivo per affrontare le sfide che ancora affliggono le comunità Rom, Sinti e Caminanti. Il nuovo Piano decennale della Commissione Europea per il sostegno delle comunità rom, presentato nel 2020, offre una roadmap per raggiungere la piena uguaglianza entro il 2030. Gli obiettivi principali includono la riduzione della discriminazione, il miglioramento delle condizioni abitative e l'aumento dell'accesso all'istruzione e all'occupazione.

Per realizzare questi obiettivi, è fondamentale che l'Italia sviluppi e attui strategie nazionali mirate, con un monitoraggio regolare dei progressi. La cooperazione tra amministrazioni locali, organizzazioni del Terzo Settore e le stesse comunità RSC sarà cruciale per superare le barriere esistenti e promuovere un'inclusione reale e sostenibile. Le autorità locali devono essere coinvolte attivamente nella progettazione e nell'implementazione delle politiche, garantendo che le soluzioni siano adattate alle specifiche esigenze delle comunità.

Un aspetto chiave sarà la promozione dell'autonomia abitativa attraverso progetti di autocostruzione e il sostegno all'inserimento abitativo in case messe a disposizione da organizzazioni del terzo settore, fondazioni e privati. Questi progetti non solo forniranno alloggi dignitosi, ma contribuiranno anche allo sviluppo di competenze pratiche e all'empowerment delle comunità. Inoltre, sarà essenziale garantire l'accesso ai servizi sanitari e all'istruzione, migliorando la prevenzione e la gestione delle malattie e promuovendo la frequenza scolastica tra i minori Rom. La pandemia ha messo in evidenza la necessità di un sistema di supporto robusto e flessibile che possa rispondere rapidamente alle emergenze. Le lezioni apprese durante la crisi sanitaria devono essere utilizzate per rafforzare le politiche di inclusione e garantire che le comunità Rom non siano lasciate indietro in futuro. È importante che le misure di contenimento del virus tengano conto delle condizioni specifiche delle comunità RSC, evitando di aggravare ulteriormente le loro difficoltà.

Infine, il riconoscimento dello status giuridico delle minoranze Rom e Sinte deve diventare una priorità. Un quadro normativo chiaro e inclusivo è essenziale per garantire che queste comunità abbiano pari diritti e opportunità. La sensibilizzazione dell'opinione pubblica e la promozione della cultura Rom e Sinti attraverso progetti educativi e culturali possono contribuire a ridurre i pregiudizi e a costruire una società più inclusiva e rispettosa delle diversità. In sintesi, le prospettive per il futuro richiedono un impegno condiviso e continuo da parte di tutti gli attori coinvolti. Solo attraverso una collaborazione efficace e un approccio integrato sarà possibile migliorare significativamente la qualità della vita delle comunità Rom, Sinti e Caminanti in Italia e garantire loro un futuro più equo e dignitoso.



Raccomandazioni


Per garantire un'effettiva inclusione sociale e combattere la discriminazione verso le comunità rom e sinte, è fondamentale monitorare attentamente l'attuazione delle politiche e degli interventi volti a migliorare le loro condizioni di vita. Ecco alcune azioni chiave che devono essere implementate e costantemente valutate:

  • Accesso alla Casa: È essenziale garantire che tutte le persone rom e sinte abbiano accesso a un alloggio dignitoso e sicuro. Questo include non solo la disponibilità di abitazioni adeguate, ma anche la prevenzione delle discriminazioni nell'accesso al mercato immobiliare. Le politiche abitative devono prevedere programmi specifici per sostenere le famiglie rom e sinte nella ricerca di alloggi, inclusi sussidi per l'affitto e progetti di edilizia popolare.


  • Riconoscimento Giuridico: Il riconoscimento giuridico dello status di minoranza delle comunità rom e sinte è un passo cruciale per tutelare i loro diritti. Questo riconoscimento deve essere accompagnato da leggi che garantiscano la protezione contro la discriminazione e promuovano l'inclusione sociale. Inoltre, devono essere creati organismi istituzionali incaricati di monitorare il rispetto dei diritti delle minoranze e di intervenire in caso di violazioni.


  • Regolarizzazione delle Famiglie: È urgente affrontare la questione della regolarizzazione delle famiglie di origine balcanica a livello nazionale. Questo significa facilitare l'accesso ai documenti di identità, permessi di soggiorno e cittadinanza, eliminando gli ostacoli burocratici e legali che impediscono la piena integrazione di queste famiglie nella società italiana. La regolarizzazione è fondamentale per garantire l'accesso ai servizi pubblici essenziali, come la sanità e l'istruzione.


  • Confronto e Buone Pratiche: Favorire lo scambio di buone pratiche tra amministrazioni centrali, regionali e comunali è essenziale per sviluppare interventi sistemici e integrati che rispondano alle specifiche esigenze delle comunità rom e sinte. Questo richiede la creazione di reti di collaborazione tra le varie istituzioni, l'organizzazione di conferenze e workshop per condividere esperienze di successo e la promozione di progetti pilota che possano essere replicati in diverse aree del paese. L'apprendimento reciproco e la condivisione di risorse possono migliorare significativamente l'efficacia delle politiche di inclusione.


Inoltre, è necessario che tutti questi interventi siano accompagnati da un sistema di monitoraggio e valutazione nazionale continuo per misurare i progressi compiuti e identificare eventuali criticità. Solo attraverso un impegno costante e coordinato sarà possibile migliorare realmente le condizioni di vita delle comunità rom e sinte e promuovere una società più equa e inclusiva.




Note


(1) - Osservatorio dei diritti

Amilcare “Taro” Debar

Amilcare “Taro” Debar

(Frossasco 1927 - Cuneo 2010)
LA STORIA DI AMILCARE DEBAR, IL SINTI CHE DECISE DI IMPUGNARE LE ARMI PER LA RESISTENZA, PER L’ANTIFASCISMO E PER IL SUO POPOLO

Ci sono molti motivi per i quali un uomo può impugnare un fucile. Amilcare ne aveva diversi. Innanzitutto perché combattere il fascismo, negli anni della Seconda guerra mondiale, era un imperativo morale per tutti coloro che volevano lottare per un mondo più giusto. E negli inverni del 1943 e del 1944 la scelta, per lui e per molti altri piemontesi, era chiara: o con i repubblichini o con i partigiani, sulle montagne. Ma per Amilcare la questione era più complessa. Lui era un sinti, uno “zingaro”. La sua gente i nazifascisti la stavano mandando nei lager, stessa sorte di ebrei, omosessuali, oppositori politici.

Amilcare, nome di battaglia “Corsaro”, ne aveva diversi di motivi per imbracciare un fucile.

Eppure il secondo da noi menzionato, per lui, non era certo scontato. Nato nel 1927 nel torinese, crebbe senza i genitori in un orfanotrofio.

Questo tagliò, in un certo senso, i legami con la sua eredità culturale sinti, ma non la voglia di lottare per la libertà, che lo portò a salire sui monti con la 48esima Brigata Garibaldi a soli 17 anni. Era un ragazzino e, come molti altri coetanei, svolse un ruolo essenziale come staffetta. Ma era un guerrigliero, Taro, e ben presto passò al ruolo di combattente vero e proprio, facendosi valere nei violenti scontri che coinvolsero il Piemonte nell’inverno a cavallo tra il 1944 e il 1945, tra le Langhe, dove conobbe anche Sandro Pertini. Infine partecipò alla liberazione di Torino, nell’aprile del 1945. Arrivò la vittoria, o almeno una delle vittorie. Perché nel frattempo, come detto, vi era stato il “Porrajmos”, l’Olocausto degli zingari. Oltre mezzo milione di rom, sinti e appartenenti ad altre popolazioni nomadi erano morti nei campi di sterminio nazisti. L’emergere di questo orrore fece nascere in Taro la necessità di ricollegarsi alle proprie origini, alla propria famiglia, al proprio popolo. Terminato il conflitto si arruolò in un primo momento nelle forze di polizia, e proprio durante questo periodo riscoprì in parte le proprie origini, quando durante un controllo si trovò per le mani, per puro caso, alcuni documenti riguardanti la sua famiglia e i suoi genitori. Decise una volta per tutte di abbandonare il suo ruolo per proseguire con tutte le sue forza la lotta per i diritti di rom e sinti.

“Non importa chi siamo, né da dove veniamo, né in che modo viviamo. Siamo tutti uomini.”

Queste poche parole erano le linee guida del suo pensiero, che lo portarono ad attivarsi per tutto il resto della sua vita per questa causa. Andò a vivere in un campo nomadi dove riscoprì le tradizioni e la vita del suo popolo, si batté a livello istituzionale - e non solo - per il riconoscimento dei diritti di rom e sinti, tra tutti il diritto all’istruzione. Incontrò due presidenti della Repubblica - Saragat e Pertini - e arrivò fino all’Unione Europea e alle Nazioni Unite.

Era cresciuto lottando e morì lottando, Amilcare, nel novembre del 2010. “Siamo tutti uomini”, disse, e per tutti gli uomini visse lottando, sempre schierato con fierezza dalla parte degli ultimi e  degli oppressi.