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Pluralismo religioso

Il 2023 e il 2024


Nel corso degli anni 2023 e 2024 la presenza delle religioni nello spazio pubblico è stata essenzialmente caratterizzata da una generale indifferenza nei confronti del tema del pluralismo, se non di chiusura, con riferimento a sue specifiche declinazioni, a partire dalla “questione Islam”. Il tema è strettamente connesso alle retoriche di marca populista che caratterizzano, non da oggi, il discorso politico, ma che, con ogni evidenza, hanno subito nei tempi recenti un inasprimento. Il legame tra diversità religiosa e politiche anti immigrazione è infatti evidente e costituisce uno degli assi portanti delle agende delle destre globali, Italia inclusa. Ciò tuttavia prescinde da qualsiasi rapporto con la situazione reale che desumiamo dai dati a disposizione. A politiche fondate sulla “sindrome” dell’insicurezza non corrispondono immigrazioni di massa, né tanto meno invasioni tese alla sostituzione di radici religiose o culturali. Le recenti stime sull’appartenenza religiosa degli stranieri presenti sul territorio italiano registrano una presenza cristiana, nelle sue articolazioni, pari al 48,1% (di cui il 55% di ortodossi), a fronte di una presenza musulmana pari al 34,3%. L’incontro con la diversità religiosa comporta, in ogni caso, una crescita dei fenomeni di islamofobia, in Europa come in Italia.  La stima del numero dei musulmani, stranieri e italiani, residenti è dato complesso da ottenere. Grava su tale valutazione lo scarso riconoscimento giuridico della comunità religiosa, che non consente una completa mappatura della realtà dei territori. Anche il fattore legato alla protezione e tutela del dato personale di tipo religioso non consente dei rilevamenti certi. Le stime degli ultimi anni si assestano tra valutazione particolarmente ottimistiche, che indicano la presenza musulmana in Italia pari a circa 2,5 milioni di residenti e stime più caute, che si assestano su 1,5 milioni di presenze. Con ogni probabilità il dato più vicino alla realtà si ferma a circa 2 milioni di presenze, ivi compresi i residenti con background migratorio, che hanno ottenuto la cittadinanza italiana (Fonti Cesnur; Ismu; Dossier Statistico Integrazione). Nel corso del 2024, la comunità islamica italiana ha rivolto un appello al Presidente della Repubblica invocando rispetto e protezione contro l’islamofobia e ciò, in particolare, per preservare la sicurezza e la serenità dei e delle credenti durante la celebrazione del mese di Ramadan. La risposta di Mattarella è giunta con un una dichiarazione in occasione della fine di tali celebrazioni, in cui si evidenzia la necessità della “promozione del mutuo rispetto tra fedi e culture, elemento della coesione sociale della nostra comunità” e il dato della coincidenza del Ramandan con un “periodo denso di preoccupazioni per le sofferenze e i lutti che affliggono civili innocenti in diverse parti del mondo, compreso il Medio Oriente”. Se il profondo inasprimento del conflitto israelo - palestinese successivo al 7 ottobre 2023 ha comportato serie conseguenze in tema di tensioni tra e contro le comunità islamiche, l’elemento che ha richiesto l’intervento del Presidente della Repubblica è tutto interno e riguarda l’ormai noto caso Pioltello. Nello specifico l’episodio registra una realtà sempre più diffusa nel nostro paese, in cui le scuole si compongono di classi multietniche. La decisione del 19 maggio 2023 del Consiglio d’Istituto della scuola “Iqbal Masih” di Pioltello di includere, tra le sospensioni scolastiche, anche il giorno coincidente con l’Eid al Fitr, la festività di fine Ramadan, è stata infatti motivata dall’altissimo numero di studenti che usualmente si assentano per la partecipazione ai festeggiamenti familiari e comunitari (circa il 40% della comunità scolastica). La reazione del Ministro dell’Istruzione Valditara, concretizzatasi in una serie di atti ispettivi nei confronti della scuola, motivati da presunte illegittimità nella compilazione del calendario scolastico in violazione dei principi che, è stato sostenuto, prevedono l’inserimento di giornate di chiusura esclusivamente in concomitanza con le festività nazionali riconosciute, come tali essenzialmente afferenti alla confessione cristiana cattolica, è stata in realtà motivata da posizioni politiche di chiusura nei confronti di un presunto processo di islamizzazione della società italiana. Di non poco rilievo il dato relativo agli attacchi cui la comunità scolastica di Pioltello è stata sottoposta, a partire dal dirigente scolastico, con minacce via social. Tali eventi sono sintomatici del profondo malessere che la società italiana esprime nei confronti della questione religiosa. I dati della Rete nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d'odio ci raccontano del potere della comunicazione mediatica sul punto e della sua funzione di accrescimento della situazione di conflittualità a sfondo razzista.

L’odio contro le appartenenze religiose cresce, non solo nei confronti dell’Islam. Il conflitto israelo -palestinese ha duramente messo alla prova, nel 2023 come nel 2024, le comunità ebraiche presenti nelle nostre città. L’elenco degli episodi di antisemitismo tracciato dal relativo Osservatorio della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea è in costante crescita (454 nel 2023; 735 nel 2024). Anche in questo caso il web risulta il canale di maggiore diffusione, sebbene anche episodi di vandalismo e di diffusione di frasi antisemite nel contesto di manifestazioni e cortei siano in crescita. Le attività della Commissione straordinaria su intolleranza, razzismo, antisemitismo, istigazione all’odio e alla violenza presso il Senato della Repubblica, ricostituita nel 2023 con la conferma della presidenza affidata a Liliana Segre, si sono concentrate in una serie di audizioni e indagini conoscitive. Il tema dei discorsi d’odio on line è stato al centro di tali lavori, con particolare enfasi sulle questioni che riguardano la discriminazione e la disinformazione connessi al conflitto mediorientale (indagine conoscitiva del 16 aprile 2024) e dei dell’impatto dell’intelligenza artificiale sulla diffusione degli stessi discorsi d’odio (da ultimo, indagine conoscitiva del 17 ottobre 2024).

Anche Rapporto sulla libertà di religione in Italia nell’anno 2023, redatto come ogni anno dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, segnala episodi anche gravi di violenze verbali e fisiche nei confronti della comunità ebraica italiana successivamente agli episodi del 7 ottobre 2023. Tra questi, sono espressamente indicate frasi offensive contenute nel libro recentemente pubblicato dal Generale Roberto Vannacci, specificamente dirette a commento dell’Olocausto.

Il Rapporto appena citato indica, inoltre, l’attività del Ministero dell’Interno diretta all’espulsione di 35 persone legate a gruppi facenti parte della rete dell’islamismo violento ed estremista. Al contempo, le comunità islamiche italiane hanno continuato a incontrare importanti ostacoli per l’ottenimento di permessi di costruzione o apertura di luoghi di culto e luoghi per la sepoltura religiosamente conforme. Sotto altro aspetto, nel giugno 2024 si è svolta presso il Vaticano una conferenza su “libertà religiosa e sviluppo umano”. In tale occasione, presenti alcune tra le più importanti cariche tra cui il Segretario di Stato Vaticano Card. Parolin, è stata avanzata la necessità di lanciare una nuova piattaforma globale per la libertà religiosa, diretta a promuovere politiche inclusive in ambito religioso. Il tema della libertà religiosa sul piano globale è al centro di importanti questioni politiche, a partire dalla importanza della pressione di alcuni gruppi religiosi in relazione a risultati elettorali decisivi (si pensi alle recenti elezioni politiche negli Stati Uniti) e a scenari di conflitto (si pensi al peso della Chiesa ortodossa russa nel conflitto russo – ucraino). La mancanza di una chiara e lineare politica in materia di libertà religiosa in Italia indebolisce la posizione del paese in materia di diritti fondamentali, con il rischio di trasformare il tema in un campo di battaglia politico al servizio delle politiche di conflitto globali.

Per contro, la questione della presenza dell’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche continua a rimanere al centro del dibattito. Gli anni 2023 e 2024 continuano a segnare un trend negativo nel numero degli e delle studenti che sceglie di avvalersi dell’insegnamento religioso confessionale. In media uno studente ogni quattro opta per una scelta alternativa, con un picco del 61% dei non avvalentisi nei licei fiorentini. Nel frattempo le procedure di concorso ordinario e straordinario per l’immissione di insegnanti di religione cattolica nelle scuole pubbliche, iniziata nel 2019, sta giungendo alle sue fasi finali. Il rischio di un corto circuito in materia appare, pertanto, sempre più vicino. Importante rilievo deve, pertanto, essere dato alla recente proposta di Mons. Derio Olivero, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della CEI, sul “ripensare l’ora di religione”. Il testo intitolato "Insegnamento, religioni, spazio laico. Verso un nuovo statuto dell'ora di religione nella scuola pubblica" affronta con coraggio e capacità di visione la nuova realtà della scuola italiana e, con essa, della società, suggerendo un cammino comune che coinvolga tutte le religioni, chiamando la Chiesa cattolica a fare “un passo indietro, rinunciando a uno spazio che le spetta di diritto in nome del Concordato, per aiutare la società a fare un passo avanti”.

Nonostante alcuni slanci di lungimiranza, la presenza della diversità religiosa nelle scuole pubbliche sta diventando sempre più un tema di conflitto. Nel corso del 2024 è iniziato l’iter di discussione nelle relative Commissioni parlamentari del Disegno di legge 962 presentato nel dicembre 2023. Tale testo recante il titolo “Rispetto e tutela delle tradizioni religiose italiane”, intende preservare e tutelare le festività e le tradizioni religiose cristiane, identificate come espressione più autentica e profonda dell’identità del popolo italiano. Con questo scopo, la proposta intenderebbe introdurre un generale divieto di impedire iniziative legate alle tradizionali festività cristiane, come ad esempio l’allestimento del presepe natalizio, prevedendo altresì l’ipotesi di provvedimenti disciplinari nei confronti di insegnanti e dirigenti scolastici che non intendano adeguarsi. A fronte di uno scenario profondamente mutato, la risposta parlamentare sembra dirigersi verso un utilizzo fortemente ideologico del discorso sulle identità. Con la consapevolezza che strumenti legislativi di tal tipo costituiscono delle “operazioni manifesto”, per lo più destinate ad avere vita breve, non può non allarmare la totale assenza di ogni riflessione legislativa sul tema dell’inclusione nelle scuole, primo vero laboratorio di vita insieme, in favore di provvedimenti legati ad una concezione culturale dell’identità nazionale lontana dal sentire proprio dei principi costituzionali.

Di diversa portata e certamente con conseguenze più problematiche è la Proposta di legge cosi detta "Foti" sui luoghi di culto che, già approvata alla Camera, continua il suo iter in Senato. Nella sostanza la proposta di legge prevede una significativa stretta relativa alla possibilità di usufruire della forma giuridica propria delle Associazioni di Promozione Sociale per la costituzione di luoghi di culto. Il tema è nato dalla previsione legislativa riferita alla normativa di terzo settore che consente a tutte le realtà costituite in forma di APS di utilizzare i locali destinati allo svolgimento delle loro attività sociali indipendentemente dalla loro destinazione d’uso. Nella assenza di interventi legislativi in materia di edilizia di culto in grado di garantire che la manifestazione della libertà religiosa avvenga secondo una regolamentazione congrua, negli anni alcune Regioni hanno ridotto, come già ricordato, le possibilità di aprire o mantenere aperti luoghi di culto. Una normativa così stringente ha causato una fuga delle realtà confessionali, centri culturali e sale di preghiera islamiche per primi, verso la forma giuridica delle APS, potendo così godere della possibilità di avere luoghi di preghiera consoni. La proposta di legge intende limitare questo diritto esclusivamente per le realtà confessionali, così palesando una evidente discriminazione legata a motivazioni di ordine religioso.

Il tema dei luoghi di culto, come quello delle aree per la sepoltura, è sempre più al centro di questioni che riguardano le amministrazioni territoriali e l’insufficienza generalizzata del sistema legislativo a regolamentare in una forma costituzionalmente orientata diritti basilari per le comunità religiose.

Nel corso del 2023 e dopo diversi anni è stata ricostituita la Commissione per le intese con le confessioni religiose e la libertà religiosa. Nel corso degli ultimi due anni, la Commissione ha concentrato i suoi lavori nella revisione di alcune intese già sottoscritte con minoranze religiose storiche. Si attendono con particolare attenzione risultati anche con riguardo a quelle confessioni religiose prive di intesa che, ormai da molti anni, attendono una risposta.

Registriamo, infine, la triste notizia giunta in chiusura del 2024 relativa alle dimissioni del Consiglio per le relazioni con l'Islam, quale risposta della costante mancanza di attenzione rivolta dal Ministro dell’interno nei confronti di un lavoro teso all’integrazione – non solo delle comunità islamiche – portato avanti da oltre dieci anni. Una notizia che, sebbene non foriera di aspettative positive per l’anno appena iniziato, chiama ad un maggiore impegno della politica su un tema tanto urgente quanto essenziale per la vita della democrazia italiana.



Una panoramica degli ultimi dieci anni


Il pluralismo religioso e culturale, sebbene riconosciuto come asse portante della democrazia e del più generale assetto costituzionale dei principi e valori fondanti la Repubblica italiana, continua a costituire per il nostro Paese un tema irrisolto.

Nel decennale dalla elaborazione del primo Rapporto sullo stato dei diritti in Italia di A Buon Diritto, la questione della costante sottovalutazione del tema da parte degli organi decisionali è un dato che va registrato con forza. Ciò, in particolare, con riguardo alle politiche e azioni legislative in tema di libertà religiosa e dello stato di riconoscimento delle confessioni religiose. Dal 2014 al 2024 soltanto due confessioni religiose hanno raggiunto e sottoscritto un’intesa con lo Stato ai sensi dell’art. 8, terzo comma, Cost. Si tratta dell’intesa con l’Istituto Buddista italiano Soka Gakkai sottoscritta nel 2015, seguita dall’emanazione della legge n. 130/2016 e dell’Associazione “Chiesa d’Inghilterra”, sottoscritta nel 2019, seguita dalla legge n. 240/2021. Se si scorre la lista delle  13 confessioni religiose che hanno stipulato, a partire dal 1984, un’intesa con lo Stato, si riconosceranno sigle e denominazioni note e meno note.

Quello che, certamente, non potrà non saltare agli occhi è l’evidente assenza di alcune tra le realtà religiose più rilevanti, quantomeno per numero di fedeli, presenti sul territorio italiano. Si pensi all’islam italiano, rappresentato da diverse realtà associative; si pensi ancora alla chiesa ortodossa, in particolare rumena, rappresentata da quasi due milioni di persone. Si pensi ancora a presenze più recenti, sebbene con un passato storico importante per il nostro paese, che costituiscono oggi una realtà essenziale per l’economia e in particolare per l’agroindustria, come la comunità Sikh, che conta circa 250.000 membri. Si pensi, infine ai Testimoni di Geova, la cui storia di mancata intesa con lo Stato risulta paradigmatica della incapacità politica, prima che governativa, di utilizzare il diritto quale strumento di risoluzione di problematiche anche sensibili. Non meno rilevante è la questione dell’ateismo organizzato. La sentenza con cui la Corte costituzionale nel 2016 ha stabilito il carattere del tutto politico della discrezionalità governativa nell’avviare o meno le trattative per la stipulazione di un’intesa ai sensi dell’art. 8, terzo comma, Cost., stabilendo così un principio fondativo ed essenziale per tutta la disciplina delle relazioni con il fenomeno religioso in Italia, ha escluso ogni forma di assimilazione tra la professione di ateismo e una confessione religiosa.




Questi brevi cenni rendono l’idea di un panorama del rapporto con le religioni e con la tutela del pluralismo religioso che, nel corso degli ultimi dieci anni, è andato cambiando. Il tessuto sociale e relazione italiano è sempre più composto di realtà che non hanno origine primaria nelle religioni tradizionalmente parte della cultura europea. Alle nuove presenze religiose si accompagna una inesorabile secolarizzazione della società. I dibattiti sul senso del religioso e della spiritualità nell’era della postsecolarizzazione danno l’idea di quanto ragionare sui nuovi paradigmi di convivenza e inclusione non possa prescindere da serie politiche, anche di tipo legislativo, in tema di nuovo pluralismo religioso e culturale. Simbolo di una scarsa sensibilità sull’essenzialità di tali politiche è l’assenza nel corso degli ultimi dieci anni di proposte di legge coerenti in tema di libertà religiosa. Da sempre presente nel dibattito politico, sebbene spesso soffocata da una dialettica non sempre lungimirante tra politiche contrapposte, la questione sul se e sul come dell’introduzione di una legislazione unilaterale in materia di libertà religiosa ha accompagnato un tratto della storia parlamentare italiana, per poi di fatto sparire dalle agende politiche. L’ultimo importante tentativo di riportare la questione al centro del discorso politico nazionale è stato compiuto da un gruppo di giuristi sotto l’egida della Fondazione Astrid che, dopo anni di elaborazione, ha presentato nel 2017 una proposta di legge in materia di libertà religiosa. L’obiettivo di offrire al decisore politico un testo coerente e consapevole delle grandi questioni che attengono all’esercizio individuale e collettivo di tale diritto è stato, di fatto, ignorato.

Eppure le questioni che più da vicino riguardano i credenti, i non credenti e i loro diritti sono essenziali. Si pensi al tema delle cure sanitarie che tengano conto delle appartenenze religiose; alla questione degli spazi per la sepoltura. Entrambi i temi sono stati al centro di problemi di difficile risoluzione negli anni della pandemia da Covid – 19, stante l’assoluta carenza di formazione e di strutture conformi. Si pensi, inoltre, ai problemi relativi all’edilizia di culto che, quantomeno a partire dal 2015, hanno interessato e ancora interessano la convivenza nei nostri territori. La strumentalizzazione della legislazione cosi detta “anti moschee” in alcune regioni del Nord Italia ha richiesto l’intervento reiterato della Corte costituzionale per eliminare le parti più odiose di normative ancora vigenti. Si pensi, poi, alla questione dei simboli religiosi, anch’essa tornata alla ribalta a causa delle profonde strumentalizzazioni che l’uso del crocifisso ha subito per fini politici e allo stigma sempre più pressante subito dalle donne con velo. Non ultimo, il tema delle carceri e in generale della convivenza nelle strutture pubbliche e private tra differenti culture e religioni, tra diritto di professare la propria fede, politiche anti radicalizzazione, scelte alimentari, carenza di assistenza spirituale qualificata. La convivenza quale portato della migrazione verso l’Europa e l’Italia ha riportato al centro dell’agenda politica il tema delle identità e la necessità di trovare soluzioni alternative allo scontro tra culture. Nel corso degli ultimi dieci anni tali temi si sono spesso radicalizzati in assenza di soluzioni oculate e sono stati, al contrario, fatti oggetto di strumentalizzazione al servizio di politiche anti immigrazione. Religione e spiritualità, scelte personali e vita delle comunità sono diventati temi sempre più globali, che hanno determinato e continuano a determinare scenari di conflitto, tra fondamentalismi e scontro di civiltà. Allo stesso tempo, nel corso del decennale abbiamo celebrato i trent’anni dall’entrata in scena del principio di laicità, o meglio, della sua definizione ad opera della Corte costituzionale, che ne ha riconosciuto l’attributo di principio supremo. Il tema del religioso, quando strumentalizzato, diviene storicamente una battaglia culturale sui corpi, sulle scelte individuali, sugli stili di vita. Sempre più spesso nel corso degli ultimi dieci anni laicità e alcune forme di pensiero religioso si sono scontrati entro il dibattito sui diritti civili, mostrando tutta la centralità del tema della convivenza tra idee e della necessità di tutelare i diritti e le scelte individuali da posizioni legislative strumentali.

Negli ultimi dieci anni questo Rapporto ha dato conto delle evoluzioni e delle involuzioni in tema di pluralismo religioso nel nostro paese. Nonostante lo scenario di sostanziale immobilismo legislativo, le sperimentazioni di natura convenzionale, i numerosi tentativi di porre il dialogo e la tutela dei diritti fondamentali al centro delle politiche di convivenza e integrazione ha dato qualche risultato positivo. Nella consapevolezza della assoluta insufficienza di tali tentativi, riteniamo tuttavia essenziale affrontare con uno spirito proattivo l’analisi della situazione dell’ultimo biennio, nella speranza che alcune linee di riflessione possano suggerire nuove politiche e possibilità di costruzione di percorsi condivisi.



Raccomandazioni


  • Riprendere il dialogo con le confessioni religiose che sono in attesa di ricevere forme di riconoscimento giuridico da parte dello Stato, attraverso l’implementazione del lavoro della Commissione per le intese con le confessioni religiose e la libertà religiosa, nuovamente istituita dal 2023. Favorire tale dialogo anche per le confessioni religiose che ancora non hanno ottenuto uno status sufficiente per la stipulazione di un’intesa ai sensi dell’art. 8, terzo comma, Cost.


  • Aumentare l’attenzione al contrasto contro i fenomeni d’odio, specie online, rivolti nei confronti di credenti, in particolare, di fede ebraica e di fede islamica, favorendo un sempre maggiore dialogo tra le comunità e la società civile .


  • Porre al centro dell’agenda politica del Paese il tema della diversità religiosa nelle scuole pubbliche, favorendo attività di integrazione ed inclusione di tutte le presenze religiose e culturali, anche mettendo alla studio possibili forme di superamento o quantomeno di integrazione dell’ora di religione cattolica con una formazione laica sul fatto religioso e le sue implicazioni, mediante l’utilizzo delle competenze e dei saperi ampiamente diffusi nei contesti in particolar modo accademici.


Gianavello

Gianavello

(Rorà 1617 - Ginevra 1690)
LA LOTTA, LA RESISTENZA E L’ESILIO: LA VITA DI GIANAVELLO, L’EROE VALDESE CHE GUIDÒ LA RESISTENZA PROTESTANTE CONTRO GLI STERMINI DEI SAVOIA NEL SEICENTO

Il confine tra la definizione di bandito ed eroe è molto labile, e lo è sempre stato. Anche e soprattutto nelle zone montane e impervie, come ad esempio le valli piemontesi, un luogo di confine, spesso più di incontro che di scontro. Un luogo di Resistenza.

Nel Seicento la riforma protestante aveva circa un secolo. Le valli più occidentali del Piemonte vedevano al loro interno una fortissima presenza di comunità valdesi; in particolare, le valli Pernice, Germanasca e Chisone diventeranno note, appunto, col nome di “valli Valdesi”. Ma spesso nella storia le minoranze - in questo caso religiose - diventano il bersaglio di classi dirigenti alla ricerca di facili consensi. Questo fu il caso proprio delle comunità valdesi piemontesi, che verso la metà del diciassettesimo secolo furono vittime di vere e proprie campagne di sterminio. Iniziate con provvedimenti di Carlo Emanuele II di Savoia che limitavano gli spostamenti e la libertà di culto, tali campagne proseguirono con veri e propri massacri degli abitanti delle valli, con l’uccisione da parte dei soldati piemontesi di circa 2000 valdesi.

Ma alla cieca brutalità dei Savoia i valdesi risposero con determinazione. In particolare, la resistenza venne guidata in gran parte da Giosuè Janavel (spesso italianizzato in Gianavello): un personaggio che ancora oggi viene ricordato come un eroe nelle Valli, mentre - inutile a dirsi - venne ben presto definito “bandito” a Torino. Gianavello era figlio di contadini, personaggio di spicco della Chiesa valdese e audace comandante militare. Anzi, era quello che oggi si definirebbe un guerrigliero: conscio di non poter battere il Ducato in campo aperto, sfruttò la profonda conoscenza delle valli e delle montagne per sfiancare l’esercito dei Savoia. Le sue azioni presto lo resero famoso anche oltralpe, e furono molti i volontari che si unirono alle sue truppe. Per tutta l’estate del 1655 tenne in scacco gli uomini di Carlo Emanuele, che trovandosi in difficoltà accettò la mediazione del Re di Francia per la risoluzione del conflitto. Le cosiddette “Patenti di Grazia”, firmate il 18 agosto del 1655, concessero maggiore libertà e diritti ai valdesi e liberarono numerosi prigionieri. Ma i Savoia puntarono i piedi per quanto riguardava la condizione dei “banditi”, che tanto avevano combattuto per difendere le proprie terre e i propri cari da un’insensata violenza motivata solo da una fede differente. E così Gianavello e molti degli altri combattenti furono costretti all’esilio da quelle terre per le quali avevano dato il loro stesso sangue. Gianavello riparò quindi a Ginevra, in Svizzera, dove si attivò soprattutto tra i valdesi espatriati oltre confine. Pare che almeno in due occasioni rientrò - illegalmente - nelle sue terre, mentre in Svizzera si adoperava affinché i rifugiati potessero, un giorno, tornarvi regolarmente. Ormai anziano e malato, anche quando una nuova crisi investì le valli valdesi tra il 1685 e il 1686 fu, a suo modo, in “prima linea”: inviò consigli, istruzioni, suggerimenti agli abitanti delle valli, e la sua casa svizzera divenne un centro di coordinamento della resistenza valdese. Infine, nel 1689, organizzò il rientro di gran parte degli esuli nelle valli. Lui, a causa delle sue precarie condizioni di salute, non vi prese parte, e morì nel marzo del 1690.