Il punto della situazione
Dopo lo stato straordinario di emergenza globale, determinato dal diffondersi della pandemia da Covid–19, il 2021 è stato caratterizzato dalla ricerca di una difficile convivenza con il virus. Anche le comunità religiose hanno dovuto confrontarsi con questa condizione di precarietà, facilitate in ciò dal sistema di concertazione messo in atto dal Governo, che ha in concreto consentito – una tra le pochissime attività – di non interrompere le celebrazioni religiose se non per scelta delle stesse comunità e, in ogni caso, a condizione del rispetto delle misure igienico sanitarie. Il diritto di libertà religiosa sembra pertanto godere di un forte riconoscimento pubblico.
Al contempo le religioni hanno dovuto confrontarsi sempre di più con una vita a doppia dimensione. Il virtuale e il reale hanno sperimentato, nei migliori dei casi, forme di convivenza e hanno offerto la possibilità di essere nuove forme di comunità. Se alcune religioni hanno imparato a trasportare le proprie attività nella nuova dimensione digitale, altre hanno implementato la loro esistenza e diffusione esclusivamente nella realtà on line. Gli effetti a breve termine della vita religiosa esclusivamente virtuale sono ancora incerti, ma alcuni casi che ci provengono dall’osservazione del fenomeno nel contesto americano ci parlano di una questione complessa, in alcuni casi con molte ombre.
L’altra faccia della diffusione, in tutta la società, del digitale, è rappresentata dal diffondersi dell’odio in rete. Il fenomeno riguarda da vicino diversi fattori di discriminazione e reati d’odio. Tra questi, la variabile religiosa è particolarmente presente, specie nelle declinazioni dell’islamofobia e dell’antisemitismo. Gli strumenti di analisi del fenomeno offrono una visione non rassicurante, cui occorre rispondere con politiche attive più efficaci.
Non solo hate speech. L’era dei Big Data coinvolge diversi aspetti dell’esistenza umana, religioni incluse. Ciò, in particolare, per l’interesse da queste manifestato in ordine alla individuazione di principi etici che facciano da guida alle scelte in materia tecnologica. Non mancano esperienze di coinvolgimento diretto di alcune realtà religiose nell’applicazione delle tecnologie dell’intelligenza artificiale a supporto delle loro pratiche.
Niente di nuovo sul fronte della tutela della libertà religiosa. Gli interventi legislativi che dovrebbero portare ad una piena applicazione dei principi costituzionali continuano a mancare, con un divario sempre più evidente tra confessioni religiose dotate di garanzie e (molte) altre che ne sono prive. Il dato del nuovo pluralismo religioso non può essere scisso da quello del fenomeno migrazione. I dati confermano la tendenza degli ultimi anni a una gestibilità razionale del fenomeno, che viene invece sostanzialmente rimosso. L’assistenza spirituale e i luoghi di culto sono tra le due tematiche in cui più si manifesta il vuoto normativo, spesso riempito da proposte di legge populiste o di stampo poliziesco. A proposito di populismo, la vicinanza tra le “guerre culturali” presenti in altri contesti nazionali e il compattamento di diverse realtà religiose tra quelle di stampo conservatore contro l’approvazione del DDL Zan, ci parla di un paradigma che sta cambiando. Il tema dei diritti civili, individuali e collettivi, entra sempre più spesso in collisione con un’idea di libertà religiosa confessionista e, a volte, ideologica. Anche su questo occorrerà osservare le future prossime evoluzioni.
I simboli religiosi, infine, al tempo del nuovo pluralismo religioso, costituiscono un campo privilegiato di scontro tra civiltà. La sentenza delle Sezioni Unite sul crocifisso nelle scuole apre a possibili nuovi scenari di accomodamento ragionevole tra diverse sensibilità, individuando nella comunità scolastica un centro di possibile mediazione delle controversie religiose e culturali. Non solo crocifisso, tuttavia. Prime aperture nei confronti del riconoscimento della personalità giuridica della comunità sikh provengono dal Consiglio di Stato, che accorda la possibilità della risoluzione della questione kirpan attraverso soluzioni concrete che mantengano la valenza del simbolo religioso, eliminando il rischio di recare danno alle persone.
Il velo islamico continua ad essere centrale nel dibattito sui simboli religiosi. Bisogna tuttavia chiedersi quanto tale questione non sia anche un tema che attraversa, in prima battuta, i corpi delle donne e il loro diritto all’autodeterminazione. Il caso della morte di Saman Abbas riporta alla luce lo scontro culturale, prima che religioso, tra prime e seconde generazioni e, più che mai, il tema della parità di genere.
L’onda lunga del Covid – 19 e l’impatto sulle comunità religiose: la riorganizzazione degli spazi e dei riti
Se il Rapporto diritti 2020 si apriva, anche per quel che riguarda lo stato del pluralismo religioso in Italia, con l’analisi delle misure emergenziali messe in atto per contrastare gli effetti della pandemia, il 2021 è stato l’anno in cui tali misure sono diventate ordinarie e hanno accompagnato l’esperienza collettiva di convivenza con il virus, a volte allargando, altre restringendo l’esercizio dei diritti fondamentali. In tal contesto, il diritto dei e delle singole e delle comunità di fede di esercitare il culto e, in generale, di esprimere la propria religiosità nei diversi contesti di vita, ha registrato una buona tenuta, facilitato dal regime particolare che a esso è stato garantito dai provvedimenti di legge. Come noto, infatti, già dal maggio 2020 e cioè al momento dell’ingresso nella seconda fase della gestione della pandemia da Covid – 19, Governo e comunità di fede hanno sottoscritto dei protocolli destinati a disciplinare la ripresa delle celebrazioni religiose in presenza, prevedendo specifiche misure atte a bilanciare l’esercizio del diritto a riunirsi con la tutela del diritto alla salute.
Questo stato di riconoscimento e, al contempo, negoziazione del diritto di culto ha in concreto consentito una ripresa delle attività che non si è più interrotta, se non per specifica decisione delle singole comunità di fede. Nel corso del 2021, nessun provvedimento di legge emanato nel contesto emergenziale ha più inciso restrittivamente su di esse, a differenza di quanto accaduto per altre situazioni cui è connesso un diritto di riunione: si pensi alle restrizioni alle manifestazioni artistiche e culturali, o a quelle sportive o, ancora, alle limitazioni poste all’insegnamento in presenza. Per tutto il 2021 i protocolli con le comunità religiose hanno continuato a costituire l’unica fonte di regolazione dei rapporti e dei diritti ad essi riferiti, salvo alcune specificazioni che, via via, si sono rese necessarie, ma che non hanno mutato la sostanza degli accordi. La questione ha riguardato, in particolare, la normativa sulla cosiddetta certificazione verde. In nessuna comunità di fede, a partire dalla confessione religiosa professata dalla maggioranza, il green pass è stato requisito essenziale per l’ingresso nei luoghi di culto e, a maggior ragione, per l’esercizio delle celebrazioni e funzioni religiose (non così per convegni od eventi di altra natura). Il dato è particolarmente rilevante se rapportato con le diffuse restrizioni che si sono rese necessarie nelle diverse fasi pandemiche succedutesi per tutto l’anno e rivela il particolare riconoscimento di cui il diritto di culto ha goduto da parte dello Stato. Insieme alla libertà di manifestazione del pensiero, la libertà di credo continua cioè a mantenere, nella percezione dello Stato e dell’ordinamento in generale, una posizione apicale in quanto afferente ai diritti propri della coscienza più profonda dell’individuo. Rimane aperta la riflessione sulla consonanza di tale assunto con il comune sentire di una società sempre più secolarizzata, che non comporta soltanto l’indagine sul rapporto dei e delle italiane con la fede, ma anche la ridefinizione, qualora necessaria, della gerarchia dei diritti della persona.
In un contesto tale di facoltà di esercizio dei diritti, le comunità religiose hanno dovuto ridisegnare le modalità di organizzazione del culto. Maggiore difficoltà è stata senza dubbio incontrata dalle realtà confessionali di minoranza, spesso non dotate di spazi adeguati a garantire il distanziamento sociale. Tuttavia, più che per le questioni strettamente cultuali, le conseguenze negative della pandemia hanno continuato a manifestarsi, seppur in maniera meno grave rispetto all’anno precedente, per le manifestazioni della libertà religiosa e, tra queste, per i diritti di sepoltura e di assistenza spirituale nei luoghi protetti. L’onda lunga del Covid – 19 ha infatti fatto emergere quei nodi problematici che riguardano la mancata garanzia di un vero pluralismo religioso e culturale nel Paese e la mancata emanazione di strumenti legislativi sufficienti alla regolamentazione del fenomeno. Il perdurare delle difficoltà per le comunità musulmane di reperire spazi cimiteriali sufficienti e adeguati alla sepoltura si è infatti fortemente acuita nella fase emergenziale, a causa dell’aumentare delle necessità e al sempre minor ricorso alla consuetudine del rimpatrio delle salme. La profonda carenza di spazi cimiteriali conformi e la mancanza di indicazioni da parte dei Comuni cui è demandata l’adozione dei regolamenti cimiteriali ha spinto, anche nel 2021, le comunità musulmane a richiedere l’applicazione di deroghe a quei Comuni più virtuosi, affinché potessero ospitare la sepoltura anche di cittadini di fede islamica residenti in altri territori. Diversi gli appelli in tal senso da parte delle maggiori sigle associative islamiche presenti in Italia.
Sempre in tema di riorganizzazione dei riti, il 2021 ha visto il ritorno della possibilità di celebrazione del ramadan in presenza, seppur con notevoli limitazioni. Qui un racconto del ramandan al tempo della pandemia 2021, tra coprifuoco e utilizzo di spazi all’aperto, messi a disposizione dei municipi.
Il 2021 conferma la generale tendenza alla inamovibilità nel campo dei diritti di libertà religiosa in Italia. A fronte di una buona attenzione che, sul tema, viene assicurata dalla società civile, attraverso progetti di dialogo e incontri conoscitivi sul pluralismo religioso e culturale, la posizione delle istituzioni è sostanzialmente quella di un diffuso disinteresse verso la presa in carico effettiva e risolutiva delle questioni giuridiche e politiche sul tema.
On line religion e religion on line: le religioni digitali nella fase pandemica e post pandemica
Nonostante la sostanziale continuità dell’esercizio delle attività cultuali da parte delle numerose realtà religiose presenti in Italia poc’anzi descritta, non c’è dubbio che l’esperienza della pandemia abbia comportato un’accelerazione nell’utilizzo, anche da parte delle religioni, degli strumenti informatici. Ciò sia per garantire le celebrazioni comunitarie nei momenti di più forte rischio di contagio, sia per consentire alle persone più fragili o colpite dal virus di continuare a frequentare i momenti di culto. In senso più ampio, il ricorso agli strumenti digitali ha permesso di mantenere viva la rete di relazione interna alle comunità di fede e di raggiungere, nelle forme possibili, le persone in maggiore difficoltà. Se il 2020 ha visto la repentina necessità di conversione del culto e dell’assistenza spirituale in pratica online, il 2021 si è dovuto confrontare con il suo consolidamento, tra nuove abitudini di relazione e veloci inversioni di tendenza.
Secondo uno studio condotto dall’Università Statale di Milano, il periodo pandemico ha comportato un ritorno del religioso. In particolare, la crescita della pratica religiosa ha riguardato la fase più acuta della pandemia, coinvolgendo pertanto la sola modalità virtuale, con una lenta diminuzione della generale frequentazione delle preghiere e dei riti che è andata registrandosi con il calare dei contagi.
Non senza rilievo il dato secondo cui l’aumentare delle frequentazioni delle funzioni e celebrazioni largamente intese ha riguardato le persone già vicine alla religione. Non, pertanto, una diffusione della pratica religiosa che, con gli strumenti digitali, ha raggiunto fasce di popolazione generalmente lontane (come speravano la gran parte delle religioni, che soffrono la crisi numerica dovuta alla secolarizzazione delle società), quanto una fidelizzazione di chi abbia già intrapreso un percorso religioso, sporadico o più strutturato. Rilevante il dato dell’aumento della partecipazione tra gli under 45 che abbiano avuto esperienza di contagio in famiglia.
Se i dati qui raccolti hanno riguardato la partecipazione dei e delle italiane all’offerta religiosa della chiesa cattolica, molto diffusa ma al contempo caratterizzata da una appartenenza culturale non sempre seguita da una effettiva pratica religiosa, possiamo dedurre che le comunità di fede di più stretta osservanza abbiano avuto parabole similari, con quale differenza. Al riguardo è necessario confrontarsi con la generale necessità delle comunità di fede di origine straniera di incontrarsi fisicamente, costituendo il momento dell’incontro comunitario non soltanto l’adempimento a precetti religiosi, ma anche l’occasione preziosa per ritrovarsi e ritrovare un pezzo della propria cultura e delle proprie origini. In tal senso, le comunità di fede di origine straniera hanno quanto prima ricostituito l’essere comunità in presenza. Ciò ha comportato, nella maggior parte dei casi, una stretta adesione alle indicazioni stabilite dai protocolli e relative alle regole di distanziamento sociale e a norme igienico – sanitarie. Alcuni luoghi di culto sono stati anche adibiti a centri vaccinali, come nel caso del gurdwara di Novellara, il tempio sikh storicamente più radicato e conosciuto in Italia. Lo stesso è avvenuto in numerose moschee presenti sul territorio italiano. Al contempo, l’utilizzo degli strumenti più diffusi del digitale è già noto e ampiamente diffuso in alcune realtà religiose, come ad esempio le comunità musulmane, in cui le app per l’orario della preghiera, l’orientamento o per la conduzione sono impiegate da tempo, specialmente in quei contesti di immigrazione in cui la quotidianità del religioso è permeata da una cultura altra rispetto a quella di appartenenza. In tale contesto il diffondersi degli strumenti digitali per la fruizione del religioso è stato certamente più immediato, con le dovute differenziazioni legate alle diverse fasce di età e alla possibilità di accesso agli strumenti elettronici.
È possibile pertanto delineare un approccio al digitale da parte delle comunità religiose di tipo diffuso ed eterogeneo, che riguarda modalità di fruizione individuale dell’offerta religiosa online (il già richiamato utilizzo di app, anche per la preghiera; la ricezione di informazioni attraverso newsletter; la ricezione di messaggi di contenuto religioso – spirituale da parte della comunità di riferimento, etc.) e modalità collettive, come momenti di incontro e celebrazioni di riti in forma comunitaria, sostitutivi o integrativi degli incontri in presenza. Un ulteriore studio condotto dall’Università Cattolica di Milano evidenzia come la modalità interattiva di fruizione dei contenuti religiosi online sia ancora per lo più caratterizzata da un utilizzo medio o di base della tecnologia: il 24% delle parrocchie italiane che utilizzano strumenti digitali lo fa esclusivamente per la diffusione di informazioni; il 70% utilizza l’online per creare interazione; solo il 6% utilizza i social per la collaborazione e la partecipazione alla vita quotidiana della comunità. Di particolare rilevanza il dato territoriale delle realtà partecipanti al progetto, con una netta prevalenza di parrocchie concentrate nelle regioni del Nord. Il dato non è di poco conto e individua una generale tendenza alla restrizione del diritto all’accesso agli strumenti informatici e ai contenuti digitali, non garantito in forma egualitaria in tutto il Paese. Qualcosa di simile è stato registrato anche in ambito protestante(1); ciò a segnalare la più ampia questione del digital divide in Italia, che incide non solo sul diritto in sé all’accesso al digitale, ma anche sui diritti – e tra questi quello di libertà religiosa – la cui fruizione passa attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie. Un tema, pertanto, che riguarda trasversalmente la garanzia dei diritti fondamentali e che si trova a confrontarsi con una generale difficoltà del Paese a garantire l’ammodernamento delle infrastrutture quali beni comuni e il diritto all’istruzione per un uso consapevole e immediato dello strumento elettronico.
Il portato della pandemia in termini di diritti digitali e confessioni religiose può pertanto riassumersi in una formula efficace, già ampiamente sperimentata in ambito sociologico, che in tale fase esce rafforzata. Si intende riferirsi alla contrapposizione tra religion on line, quella pratica tipica delle realtà religiose, che consiste nel vivere la rete e offrire, sul mercato religioso, i propri servizi, e online religion, con cui ci si riferisce ad una nuova forma di religiosità virtuale, che spesso finisce per creare vere e proprie comunità religiose che esistono e vivono esclusivamente online(2). Se il dato finora mappato si inserisce all’interno della prima categoria, con l’analisi dell’adattamento delle normali forme religiose alle condizioni del tempo pandemico, il secondo modello sembra offrire spunti interessanti di riflessione, che sarà necessario approfondire. Si pensi all’influenza delle online religion con riguardo a fenomeni sociali e politici di rilevanza estrema, come nel caso statunitense di QAnon, che trae la sua forza e la sua diffusione proprio dall’online.
Lo spazio delle religioni digitali ha subito una forte accelerazione a causa dell’emergenza pandemica, che ha reso più concreta l’idea del superamento del cyber spazio religioso come universo “per pochi”: il virtuale assume sempre più una connotazione reale, fatta di spazi di incontro, veri e propri luoghi di culto il cui accesso supera le barriere fisiche, ma non sempre quelle del gap tecnologico.
Lo stile di vita ibrido a cui la pandemia ha abituato interi gruppi sociali sembra condurre verso una stabilizzazione dell’offerta religiosa differenziata. Se, per alcuni riti e alcune religioni, continuerà a rimanere imprescindibile il momento dell’incontro in presenza, il futuro prossimo che va delineandosi appare sempre più dipendente dal ricorso alle tecnologie digitali, che diventeranno la norma anche per la fruizione dell’esperienza religiosa. In tale contesto, le religioni che riusciranno ad attrezzarsi e a comprendere il potenziale di questa trasformazione sembrano poter avere più chance di sopravvivenza ai repentini mutamenti sociali.
Episodi di intolleranza a sfondo religioso. L’ Hate speech on line osservato speciale
Le parole d’odio in rete costituiscono l’altra faccia della medaglia della diffusione repentina degli strumenti digitali. Le religioni sono uno dei soggetti tristemente privilegiati al centro di questo fenomeno, in particolare dal lato degli offesi. In ottica intersezionale, l’appartenenza religiosa va unendosi con altri elementi propri delle identità individuali e collettive, prima tra tutti l’origine etnica e il background migratorio. In particolare, le minoranze religiose e, tra queste, ebrei e musulmani, risultano tra le comunità più colpite dall’odio on line. I recenti dati del Barometro dell'odio - Intolleranza pandemica, prodotto da Amnesty International per l’anno 2021, ci racconta dell’aumento e della radicalizzazione dell’odio online. Dal punto di osservazione del religioso osserviamo come il tema delle minoranze, sebbene non tra i primi argomenti presenti nei commenti sui social (0.4%), sia fortemente caratterizzato da una generale accezione negativa (79%), il 55.6% con contenuti problematici. Se si passa all’analisi dell’ambito e dei bersagli dell’hate speech, l’islamofobia raggiunge risultati preoccupanti (46%, il dato in assoluto più alto), tristemente superando anche i dati relativi ai contenuti antisemiti (16,6%), per eccellenza tra i più diffusi nella pratica dei discorsi d’odio. La comunità musulmana in generale registra dati allarmanti in termini di attacco diretto ai propri membri.
Se si prendono poi in considerazione i post dei politici che hanno generato maggiore hate speech, gli stessi hanno ad oggetto, in ottica intersezionale, il tema dell’immigrazione e quello delle minoranze religiose. Il report di Amnesty International offre la possibilità di consultare i testi dei post e individuarne gli autori e le autrici. Il richiamo all’islam spicca prepotentemente nell’invettiva politica, che va dal richiamo alle radici cristiane dell’Europa e il pericolo dell’islamizzazione del continente, all’attacco nei confronti di provvedimenti locali in favore dell’integrazione di matrice interreligiosa, come ad esempio la vicenda relativa all’apertura della moschea di Milano, ancora irrisolta. In generale, il tema islam porta ad un utilizzo polarizzato dell’argomentazione, in cui il e la musulmana incarnano un “nemico visibilmente altro”(3). Segnaliamo sul punto anche i risultati del progetto "Stand up for victims rights" - Conosci i tuoi diritti, combatti l'islamofobia, espressamente dedicato alla questione musulmana, tra veri e propri crimini d’odio, che vanno da aggressioni verbali e fisiche contro persone, gruppi, simboli e luoghi sacri, ad episodi di micro – aggressione(4).
Interessanti anche i dati raccolti dalla rete nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d'odio, che ha stilato una mappa delle città più intolleranti. In essa registriamo una diffusione dell’antisemitismo nel Nord Italia e una forte concentrazione nel Lazio: preoccupante il dato nella città di Milano (40,10% del totale dei tweet negativi) e Roma (24,87% del totale dei tweet negativi). Sempre nel Nord Italia l’islamofobia è presente in modo molto diffuso: una forte concentrazione di tweet antislamici si registra anche a Torino (19,75% sul totale dei tweet negativi), a Firenze (21,38%), a Bologna (20,02%). È la stessa rete a fornire alcuni strumenti di contrasto al diffondersi del fenomeno. Tra di essi, si segnalano la costruzione di metodi di contronarrazione e una serie di linee guida, tra cui un vademecum per le elezioni amministrative 2021 (che indica tra le buone prassi la gestione degli strumenti social, anche mediante la moderazione delle discussioni), strumenti per l’attivazione personale del contrasto all’odio in rete, un decalogo contro lo “zoombombing” che, come noto, ha colpito in maniera particolare con contenuti razzisti e xenofobi, spesso antisemiti. Sul punto, l’osservatorio antisemitismo (CDEC) ha raccolto, anche per l’anno 2021, numerose segnalazioni di episodi di zoombombing a contenuto neonazista e neofascista, verificatisi nel corso di eventi, presentazioni di libri, convegni aventi ad oggetto l’ebraismo o la Shoah. È sempre la Rete Nazionale per il contrasto ai fenomeni d'odio a dedicare un approfondimento sulle incursioni antisemite nel corso di webinar durante la settimana della memoria. Il report si concentra sulla tendenza ascensionale del fenomeno e il suo collegamento alla diffusione della pratica online, con particolare attenzione alla catalizzazione dell’odio antisemita nei confronti della senatrice Liliana Segre. A tal proposito, la Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, presieduta dalla senatrice a vita, ha continuato a riunirsi per tutto il 2021, per lo più ricevendo le audizioni di numerose realtà italiane ed europee, istituzionali, religiose e della società civile, impegnate nel contrasto ai discorsi d’odio. Qui è possibile consultare testi e resoconti delle audizioni relative all’indagine conoscitiva sulla natura, cause e sviluppi recenti del fenomeno dei discorsi d’odio.
Tra algor-etica e discriminazioni
Strettamente connesso al fenomeno dell’odio on line e, più in generale, alla grande diffusione degli strumenti di comunicazione digitale è il tema dell’intelligenza artificiale, che interessa anche l’ambito del pluralismo religioso e culturale.
Anche (alcuni) attori religiosi sono entrati nel dibattito relativo all’etica dell’intelligenza artificiale e all’utilizzo di questa nei processi decisionali, con particolare riguardo alla tutela dei diritti e delle libertà fondamentali. Nel corso del 2021 il Vaticano ha istituito “RenAIssance”, fondazione istituita presso la Pontificia Accademia per la Vita, a seguito della firma della Rome Call for AI Ethics, documento sottoscritto da alcuni dei giganti dell’informatica, tra cui Microsoft, avente la finalità di promuovere tra parti pubbliche e private un approccio etico all’Intelligenza Artificiale. Scopo della carta è promuovere l’“algor – etica”, principio di trasparenza e affidabilità coniato in ambito cattolico da Paolo Benanti e divenuto presto termine con cui riferirsi al più generale fenomeno di attenzione alle scelte compiute nella produzione e utilizzo di tali tecnologie. RenAIssance persegue lo scopo di diffusione della Call a livello globale, promuovendo la dimensione morale degli algoritmi.
Non solo chiesa cattolica, tuttavia. Nel dicembre 2021 la Fondazione Bruno Kessler – Centro per le scienze religiose ha pubblicato il Policy paper intitolato Shaping the AI transformation: the agency of religious and belief actors, documento che intende offrire strumenti di lettura dell’approccio all’intelligenza artificiale da parte degli attori religiosi più largamente intesi. In tal senso, il policy paper mappa il coinvolgimento e la relazione tra tali attori e le tecnologie di intelligenza artificiale, sia dal punto di vista della definizione degli standard di rispetto dei diritti fondamentali, in cui gioca un ruolo chiave la dimensione europea e il dialogo con le sue istituzioni, che dal punto di vista dell’intersezione tra pratica religiosa e tecnologia. Da questo punto di vista si moltiplicano gli esempi di strumenti ad uso delle comunità per preghiere e rituali ma anche, con qualche preoccupazione, l’impiego di strumenti per il riconoscimento facciale per il tracciamento delle persone che frequentano i momenti di culto. Dal lato positivo, il documento segnala l’utilizzo dei sistemi di intelligenza artificiale a fini educativi. Il report si chiude infine con 10 raccomandazioni dirette alle comunità religiose, policy – makers e ricercatori nel campo del nesso tra intelligenza artificiale e religione. Di particolare rilevanza in questa sede è l’accento sul coinvolgimento delle minoranze religiose e delle minoranze interne alle religioni (donne, comunità lgbtq+, giovani, etc.), spesso vittime di discriminazione interna ed esterna alle stesse comunità.
Il tema delle tecnologie dell’intelligenza artificiale è strettamente connesso a quello delle discriminazioni. Di immediata intuizione è il rischio anche per le comunità religiose di essere oggetto di restrizioni nell’accesso ai servizi o colpite da misure discriminatorie in ragione della propria natura o nell’intersezione tra appartenenza religiosa e ulteriori elementi della personalità. Si pensi alla situazione, già di per sé svantaggiosa, del porto del velo per le donne islamiche e alla sua ricaduta in termini di libertà personale e diritti nel caso di utilizzo di tecniche di riconoscimento facciale. Si pensi ancora all’ulteriore intersezione tra etnia e religione, tra lingua e religione. In tal senso è possibile definire l’intelligenza artificiale come un possibile moltiplicatore di discriminazioni già esistenti o creatore di nuove discriminazioni. Se ciò è già ampiamente dimostrabile attraverso un confronto con l’utilizzo delle tecnologie di intelligenza artificiale all’interno di regimi illiberali(5), c’è da chiedersi se l’unica risposta, seppur valida, sia quella del rifugiarsi nei contenuti morali della religione maggioritaria, o non si tratti invece di aprire un tavolo di confronto sul senso e sul più ampio contenuto dell’etica in tale spazio d’azione.
Dove va la libertà religiosa: tra populismo religioso e nuovi paradigmi
Questo rapporto è solito dedicare una sezione allo stato di salute della libertà religiosa in Italia. L’esigenza è chiara e discende dal vulnus di disciplina che da sempre caratterizza l’ordinamento italiano, privo di quella legislazione generale utile e necessaria ad offrire una base egualitaria di tutela a tutte le minoranze religiose presenti nel Paese. Queste ultime, giova ribadirlo, costituiscono un tessuto diversificato e innovativo rispetto alla tradizione cultural-religiosa nazionale e formano quello che generalmente viene definito come il nuovo pluralismo religioso. Il ruolo del fattore migrazione è certamente determinante per la definizione della diversificazione religiosa. Il Dossier Idos offre, anche per il 2021, dati sull’appartenenza religiosa della popolazione immigrata residente in Italia:
Il dato registrato conferma la tendenza degli ultimi anni, costituita da un generale calo dei cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti in Italia, determinato dagli effetti della pandemia, ma anche dalle restrizioni normative. Il dato riverbera sul “fattore R”, con oltre la metà dei residenti stranieri costituita da cristiani e un terzo da musulmani che, insieme, costituiscono l’85% dell’intero dato nazionale. Seguono nell’ordine gli atei e agnostici (4,8%), gli induisti (3,1%), i buddhisti (2,4%), e gli esponenti di altre religioni orientali (1,7%), gli aderenti a religioni tradizionali (1,3%) gli ebrei (0,1%). La restante popolazione (1,7%) dichiara di appartenere a culture religiose diverse.
La gran parte delle comunità religiose rientranti in tale classificazione non gode di sufficienti coperture legislative a tutela della libertà religiosa e delle sue manifestazioni (si pensi all’assistenza spirituale nei luoghi protetti, al forzato mimetismo giuridico di tipo associativo, al sempre più pressante problema del diritto al luogo di culto). Nulla di nuovo è registrabile nel corso del 2021 in termini di interventi normativi. L’Italia è ferma, su una materia cruciale per l’integrazione di milioni di persone, alla legislazione sui cosiddetti culti ammessi del 1929. In compenso continuano gli esperimenti di tavoli di confronto istituzionale, come nel caso del Consiglio per le relazioni con l’Islam italiano che, rinnovato in parte nella sua composizione, ha continuato ad operare. Tavoli, accordi ed esperienze di concertazione istituzionale assumono sempre più la funzione di tampone di un’emergenza normativa. La questione della mancanza di strumenti legislativi generali per la regolamentazione della vita delle comunità religiose si scontra peraltro con il paradosso di quelle proposte di legge che, ciclicamente, vengono presentata in parlamento sull’onda dell’”emergenza terrorismo”. Anche nel 2021 abbiamo assistito alla presentazione di una proposta di legge che si inserisce nei provvedimenti emergenziali contro il rischio islam, stavolta preso in considerazione dal punto di vista del ruolo degli imam e delle moschee quali luoghi privilegiati per la formazione dei nuovi terroristi islamici. Sul punto, senza nulla voler togliere alle questioni relative alla sicurezza pubblica, colpisce come la questione dei rapporti con l’islam continui a generare proposte legislative di spirito poliziesco, tralasciando il dato fondamentale dell’inserimento di politiche cooperative con una comunità che conta circa tre milioni di membri. Sul versante della sicurezza, l’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo (React) ha pubblicato un report su dati nazionali ed europei. Giova ribadire che i dati analizzati dall’Osservatorio si riferiscono al fenomeno terrorismo globalmente inteso e una parte soltanto riguarda attacchi di matrice jihadista. Interessante sul punto l’anagrafica analizzata, con un’età mediana degli attentatori (nel 2021 soltanto uomini) di 26 anni e una prevalenza di migranti di seconda e terza generazione di origine maghrebina. Più in generale rileva una discesa dei numeri rispetto al 2020 ma un rischio che permane. Sotto altro punto di vista, si moltiplicano i corsi, master e progetti sulla deradicalizzazione, spesso confinati nei contesti universitari.
Qualcosa sembra muoversi, per converso, sul fronte della questione moschee. Il Comune di Milano ha varato, sul finire del 2021, le linee guida per la concessione del diritto di superficie per due immobili destinati a diventare luoghi di culto. Il tema si inserisce nella più ampia materia delle legislazioni regionali sui luoghi di culto che, in particolare in Lombardia, Veneto e Liguria, hanno reso negli ultimi anni ancora meno semplice la vita delle comunità di fede. La città di Milano è stata, a partire dal 2019, protagonista di una corsa ad ostacoli per la concessione del diritto ad una prima vera moschea ufficiale, che auspichiamo trovi realizzazione in un prossimo futuro.
Se dal punto di vista normativo la questione della libertà religiosa continua ad essere dimenticata, nondimeno essa è sempre più protagonista nel riverbero con la normazione di altri diritti. In Italia, come in altri contesti europei, cominciano a manifestarsi gli effetti di quelle culture wars che caratterizzano i rapporti tra credenze, ideologie e stili di vita nel contesto internazionale. Particolarmente rilevante negli Stati Uniti e in Russia, il fenomeno interessa la riappropriazione da parte delle religioni dello spazio pubblico nello scontro per l’affermazione della propria visione del mondo. Il tema è particolarmente rilevante per il riconoscimento e la garanzia dei diritti civili, i corpi delle donne, i diritti riproduttivi, i diritti della comunità lgbtq+. Si ricorderà il raduno del Congresso mondiale della famiglia svoltosi a Verona nel 2019. Già in quell’occasione il forte legame tra movimenti religiosi ultraconservatori si manifestava nel senso di una rivendicazione alla limitazione dei diritti e delle libertà prima citati in nome della propria libertà religiosa.
Nel corso del 2021 qualcosa di simile si è ripetuto, stavolta con riguardo al dibattito parlamentare sul DDL Zan. Numerose realtà religiose (trasversali, da gruppi cristiani ad associazioni islamiche) sono state protagoniste di audizioni in Commissione giustizia del Senato per esprimere il proprio dissenso nei confronti del testo di legge. Numerosi i rimandi alla contrarietà alla cosiddetta teoria del gender o i richiami alla problematicità del concetto di identità di genere. Non sono mancate posizioni contrarie sull’accreditamento delle associazioni lgbtq+ presso il ministero dell’istruzione e il richiamo al matrimonio eterosessuale come fondamento religioso. Nelle 170 audizioni ammesse numerose sono stato le sigle religiose, che vanno dalle realtà cristiane evangeliche non storiche di tipo conservatore, all’Assemblea dei rabbini; dalla Sacra arcidiocesi ortodossa di Italia e Malta, all’associazionismo musulmano, alla Chiesa dei santi degli ultimi giorni. Numeroso il fronte cattolico, che non si limita agli esponenti del Family Day e delle associazioni Pro Vita, ma giunge anche alla massima rappresentanza della Conferenza episcopale italiana, con il suo segretario generale. E proprio la CEI è stata protagonista di un vero e proprio caso diplomatico. Ad una sere di note del presidente della CEI, in cui si ribadisce la singolarità e l’unicità della famiglia, basata sull’unione di uomo e donna, è seguita la nota verbale emanata dalla Segreteria di Stato – Sezione per i rapporti con gli Stati. Un atto, pertanto, che si inserisce nei rapporti diplomatici che la Chiesa cattolica (e lo Stato Vaticano) intrattengono con l’Italia. Nella sostanza, infatti, oltre che nella forma, la Segreteria di Stato rileva come la criminalizzazione delle condotte discriminatorie fondate sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere avrebbero l’effetto di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla chiesa cattolica dal regime concordatario in atto tra i due Stati. La nota si concludeva con la richiesta di una rimodulazione del testo di legge nel rispetto dei Patti Lateranensi e della stessa Costituzione italiana che all’art. 7 riserva ad essi una specifica menzione. Non sono mancate le reazioni a questa inusuale iniziativa, che hanno condotto ad una nuova dichiarazione, stavolta lasciata alle parole del cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, intervistato da L'osservatore romano, che si apre con una rilevante affermazione sulla assenza di volontà di bloccare il DDL Zan e alcune puntualizzazioni che confermano la contrarietà della Chiesa cattolica al contenuti del testo.
Al netto delle vicende che hanno riguardato il DDL Zan e i temi ad esso connessi, si intende rilevare come, di fronte a questioni ritenute eticamente sensibili, le diverse realtà religiose di matrice conservatrice hanno trovato un’unità di intenti difficilmente raggiungibile in altri contesti. Sebbene altre realtà religiose abbiano espresso posizioni nettamente differenti (si vedano le posizioni delle chiese cristiane del protestantesimo storico o l'appello promosso da 71 associazioni cattoliche e protestanti per una rapida approvazione, senza modifiche, del testo di legge), il dato rimane rilevante per le ripercussioni, non solo contingenti, che tale atteggiamento rischia di determinare. Lo scontro sul DDL Zan e il richiamo all’obiezione di coscienza e alla libertà religiosa a difesa del diritto di manifestazione del pensiero sembra presagire il rafforzamento di un nuovo paradigma, anche in Italia, relativo al concetto stesso di libertà religiosa. La questione riguarda il bilanciamento tra il “diritto di discriminare” sulla base dei propri convincimenti religiosi e il diritto a non subire illegittime discriminazioni. La questione è già nota in altri contesti, primo tra tutti quello statunitense, in cui si annoverano apposite legislazioni a tutela del dissenso su base religiosa. Importante in tal senso il richiamo che il Presidente del Consiglio ha effettuato, all’atto dell’emanazione della nota vaticana, al principio di laicità dello Stato, che non comporta indifferenza dello Stato di fronte al fattore religioso ma, come noto, salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale.
Qualcosa di simile si è registrato anche all’atto della raccolta delle firme per il referendum sull'eutanasia legale, con una presa di posizione della CEI sul punto.
Il tema riguarda, pertanto, la negoziazione dello spazio pubblico da parte delle religioni; come ciò avverrà è questione con cui il Paese dovrà confrontarsi nel prossimo futuro.
I simboli religiosi nell’Italia che cambia. Ancora (e solo) il crocifisso?
Nel 2021 la questione dei simboli religiosi torna ad assumere una rilevanza centrale per il tema del pluralismo religioso e delle sue manifestazioni nello spazio pubblico.
Un’importante sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione è tornata ad occuparsi della questione del crocifisso nelle aule scolastiche. Come noto, con la sentenza Lautsi la Corte Europea dei Diritti Umani aveva dichiarato la legittimità dell’esposizione definendo il crocifisso un simbolo “passivo”, non in grado di determinare un’influenza diretta sulla formazione degli e delle allieve, né in contrasto con le scelte di educazione familiare. La sentenza della Corte europea faceva applicazione del cosiddetto “margine di apprezzamento” quale strumento di salvataggio delle decisioni dei singoli Stati (giova ricordare, la pronuncia nasceva da un ricorso contro l’Italia) sulla definizione dei propri fondamenti culturali e religiosi.
A distanza di più di dieci anni il tema irrompe nuovamente nei tribunali a partire dal caso di un docente, destinatario di un provvedimento disciplinare a causa della sua abitudine di rimuovere il crocifisso dalle pareti scolastiche, nel corso delle sue ore di lezione. Una causa di lavoro che, per intensità dei temi trattati, raggiunge le Sezioni Unite, chiamate ad esprimersi, nella sostanza, sulla validità dei precetti normativi in vigore in ordine all’obbligatorietà dell’affissione del simbolo religioso. La posizione della Suprema Corte prende le mosse dall’applicazione del principio di ragionevole accomodamento e cioè dalla ricerca delle misure di incontro e risoluzione di posizioni conflittuali. In tale quadro, la Corte non può far altro che constatare come l’affissione del crocifisso si situi all’interno di un quadro normativo precostituzionale, espressione della forma di Stato confessionista, ormai superata. La Corte offre pertanto un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme, giungendo ad affermare che “l’esposizione autoritativa del crocifisso nelle aule scolastiche non è compatibile con il principio supremo di laicità dello Stato”. In tale contesto, la facoltà di affissione del crocifisso è rimessa alla libera e partecipata decisione della comunità scolastica, che sarà chiamata a prendere consapevolmente le decisioni più opportune, tra cui, esemplifica la Corte, l’esposizione di tanti simboli quanto corrispondono alla composizione religiosa della comunità. Non più, pertanto, la classica alternativa tra unicità del simbolo della maggioranza o parete bianca, quanto un’ampia varietà di possibili risoluzioni della questione. Come c’era da aspettarsi, la sentenza ha provocato numerose reazioni, prima tra tutte quelle del mondo cattolico e in particolare della CEI che ha immediatamente provveduto ad accreditarsi una presunta vittoria della controversia che, in realtà, si è chiusa con una soluzione più complessa di quanto prospettato. Rilevante un passaggio della dichiarazione del Segretario generale della Cei, secondo cui “il crocifisso nella aule scolastiche non crea divisioni o contrapposizioni ma è espressione di un sentire comune radicato nel nostro Paese e simbolo di una tradizione culturale millenaria”. Ancora la questione delle radici culturali a difesa di un simbolo prettamente religioso e, ancora, la rincorsa contro il mutare delle sensibilità di una società diversamente plurale.
In questo senso, la questione dei simboli non si limita al solo caso del crocifisso.
Nell’ottobre 2021 un parere del Consiglio di Stato ha dato per la prima volta il via libera al riconoscimento della personalità giuridica come ente di culto di un’associazione sikh. L’elemento centrale nel dibattito con e su questa importante minoranza religiosa, diffusa e attiva sul territorio italiano sin dagli anni ’40 del novecento, è quella del porto del kirpan, il pugnale rituale che, insieme ad altri quattro simboli religiosi (tra cui, si ricorda, il turbante), costituisce un obbligo per il credente sikh che entri a far parte della khalsa, la comunità dei credenti. La questione del pugnale è stata fortemente dibattuta nel corso degli anni fino ad oggi, in cui sembra intravedersi una soluzione definitiva della questione. Nella sostanza, la predisposizione di un prototipo di pugnale totalmente inoffensivo, garantito dal Banco Nazionale di Prova, autorità tecnica nazionale in materia di armi, ha consentito di superare il rischio che, per caratteristiche e dimensioni, il pugnale rituale possa essere considerato idoneo a recare offesa alla persona. La notizia lascia bene sperare in vista di futuri riconoscimenti giuridici di una comunità nota per la sua etica del lavoro e, tristemente, per i troppi casi di sfruttamento lavorativo cui è soggetta. In tal senso, giova ribadire come anche il riconoscimento della propria esistenza religiosa di fronte allo Stato costituisca un elemento di costruzione della dignità di una comunità e di visibilità sul territorio italiano.
Anche nel 2021 non sono mancate le consuete polemiche sul velo islamico, stavolta scatenate dalla campagna promossa dal Consiglio d’Europa sul diritto delle donne musulmane di indossare l’hijab, “Beauty is in diversity and as freedom is in hijab”. La campagna si articolava in immagini e diffusione di slogan attraverso i social media ai fini della promozione della diversità e del contrasto alle discriminazioni nei confronti delle donne musulmane. La campagna ha scatenato forti polemiche in molti Paesi, ma è certamente la Francia dove la stessa ha determinato le reazioni più forti, che hanno comportato una marcia indietro in vista di un ripensamento generale del progetto. Le polemiche hanno riguardato anche l’Italia, con prese di posizione dure da parte di esponenti della Lega.
La condizione femminile entro le comunità religiose è tema estremamente sensibile, su cui passa la garanzia per la libertà e la vita delle donne e il loro diritto all’autodeterminazione. Il caso di di Saman Abbas, la giovane di origine pakistana la cui scomparsa nel maggio 2021 sembra doversi attribuire alla ristretta cerchia familiare, i componenti dei quali sono stati rinviati a giudizio dopo l’estradizione di alcuni di questi dal Pakistan, ci parla delle enormi difficoltà che alcune comunità religiose in alcuni contesti culturali hanno di accettare le scelte delle giovani donne, in particolare di seconda e terza generazione. Rilevante come l’Ucoii abbia deciso di emanare una fatwa contro i matrimoni combinati, che respinge “questo tipo di concezione della condizione femminile”. Il dato è rilevante e va accolto positivamente, senza distogliere l’attenzione dalla gravità della situazione e dalla necessità di politiche di cultura dell’uguaglianza e parità di genere sempre più condivise. Viene pertanto da chiedersi se e quanto la decisione obbligata del Consiglio d’Europa di chiudere la campagna contro l’islamofobia al femminile sia stata a sua volta il frutto di una visione miope della questione di genere e non una manifestazione di quello scontro di civiltà che passa anche sopra i corpi delle donne (i loro volti e i loro capelli), rendendoli serventi ad una logica patriarcale trasversale alle culture più diverse. Il tema, sappiamo, ci accompagnerà in maniera sempre più intensa, nel corso dei prossimi anni.
Note
(1) - Sul punto si veda il report Essere chiesa online, curato dal Centro Studi e Rivista Confronti: www.confronti.net.
(2) - Christopher Helland, Religion online/Online Religion and virtual communitas, in C. Helland, J.K. Hadden, D. Cowan, Religion on the Internet: Research prospects and promises, Elsevier Science, 2000, pp. 205 – 224.
(3) - Federico Faloppa, Il virus dell’odio, consultabile in Barometro dell'odio - Intolleranza pandemica.
(4) - Più in generale sul progetto: https://standup-project.eu/.
(5) - Si pensi alla condizione degli uiguri in Cina
Gianavello
Il confine tra la definizione di bandito ed eroe è molto labile, e lo è sempre stato. Anche e soprattutto nelle zone montane e impervie, come ad esempio le valli piemontesi, un luogo di confine, spesso più di incontro che di scontro. Un luogo di Resistenza.
Nel Seicento la riforma protestante aveva circa un secolo. Le valli più occidentali del Piemonte vedevano al loro interno una fortissima presenza di comunità valdesi; in particolare, le valli Pernice, Germanasca e Chisone diventeranno note, appunto, col nome di “valli Valdesi”. Ma spesso nella storia le minoranze - in questo caso religiose - diventano il bersaglio di classi dirigenti alla ricerca di facili consensi. Questo fu il caso proprio delle comunità valdesi piemontesi, che verso la metà del diciassettesimo secolo furono vittime di vere e proprie campagne di sterminio. Iniziate con provvedimenti di Carlo Emanuele II di Savoia che limitavano gli spostamenti e la libertà di culto, tali campagne proseguirono con veri e propri massacri degli abitanti delle valli, con l’uccisione da parte dei soldati piemontesi di circa 2000 valdesi.
Ma alla cieca brutalità dei Savoia i valdesi risposero con determinazione. In particolare, la resistenza venne guidata in gran parte da Giosuè Janavel (spesso italianizzato in Gianavello): un personaggio che ancora oggi viene ricordato come un eroe nelle Valli, mentre - inutile a dirsi - venne ben presto definito “bandito” a Torino. Gianavello era figlio di contadini, personaggio di spicco della Chiesa valdese e audace comandante militare. Anzi, era quello che oggi si definirebbe un guerrigliero: conscio di non poter battere il Ducato in campo aperto, sfruttò la profonda conoscenza delle valli e delle montagne per sfiancare l’esercito dei Savoia. Le sue azioni presto lo resero famoso anche oltralpe, e furono molti i volontari che si unirono alle sue truppe. Per tutta l’estate del 1655 tenne in scacco gli uomini di Carlo Emanuele, che trovandosi in difficoltà accettò la mediazione del Re di Francia per la risoluzione del conflitto. Le cosiddette “Patenti di Grazia”, firmate il 18 agosto del 1655, concessero maggiore libertà e diritti ai valdesi e liberarono numerosi prigionieri. Ma i Savoia puntarono i piedi per quanto riguardava la condizione dei “banditi”, che tanto avevano combattuto per difendere le proprie terre e i propri cari da un’insensata violenza motivata solo da una fede differente. E così Gianavello e molti degli altri combattenti furono costretti all’esilio da quelle terre per le quali avevano dato il loro stesso sangue. Gianavello riparò quindi a Ginevra, in Svizzera, dove si attivò soprattutto tra i valdesi espatriati oltre confine. Pare che almeno in due occasioni rientrò - illegalmente - nelle sue terre, mentre in Svizzera si adoperava affinché i rifugiati potessero, un giorno, tornarvi regolarmente. Ormai anziano e malato, anche quando una nuova crisi investì le valli valdesi tra il 1685 e il 1686 fu, a suo modo, in “prima linea”: inviò consigli, istruzioni, suggerimenti agli abitanti delle valli, e la sua casa svizzera divenne un centro di coordinamento della resistenza valdese. Infine, nel 1689, organizzò il rientro di gran parte degli esuli nelle valli. Lui, a causa delle sue precarie condizioni di salute, non vi prese parte, e morì nel marzo del 1690.