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Migrazioni e integrazione

Il punto della situazione


Il 1° gennaio 2021, secondo i dati forniti dall’Istat, gli stranieri extraeuropei regolarmente presenti in Italia erano 3.373.876, confermando così, per il secondo anno consecutivo, l’inversione del trend di lieve e costante incremento della presenza regolare sul territorio italiano degli stranieri che si era registrato in Italia negli anni precedenti la pandemia da Covid-19. Quest’anno il calo rispetto al precedente si attesta intorno al 7%.

Su questi numeri hanno inciso significativamente, ancora, l’emergenza pandemica e le politiche di chiusura dei confini, che hanno determinato una drastica riduzione di nuovi permessi di soggiorno, soprattutto per ragioni di studio (-58,1%) e per asilo (-51%). Tuttavia, seppure in misura minore, un’incidenza su questo dato è esercitata pure da un aumento del numero di persone che hanno acquistato la cittadinanza italiana, così completando il percorso di integrazione all’interno del tessuto sociale.

Si conferma invece un altro trend, che rimane inalterato da anni, ovvero la circostanza che la larga maggioranza degli stranieri extraeuropei presenti sul territorio (2.173.327, per una percentuale del 64,4%) risulta dotata di permesso di soggiorno europeo di lungo periodo, ossia di una tipologia di permesso che, oltre ad attestare un’avvenuta integrazione lavorativa e sociale, consente l’accesso a larga parte dei diritti e delle prestazioni statali.



C9. Grafico 1 • Cittadini non comunitari regolarmente presenti per regione



Se a questo numero si somma quello relativo alla presenza di persone provenienti da altri Stati membri dell’Unione europea (circa 1,6 milioni) si conferma allora, anche nel 2021, che alla regolare presenza degli stranieri corrisponde in larga misura, almeno astrattamente, una buona integrazione degli stessi sul piano giuridico (si pensi solo che, a rigore, i cittadini europei non sono considerati giuridicamente stranieri all’interno del nostro territorio e che godono delle particolari regole di circolazione, soggiorno e fruizione dei diritti e dei servizi che sono accordate dall’ordinamento dell’Unione).

Nel concreto, però, diversi sono i fattori che minano l’effettività del percorso di integrazione giuridica e sociale dei non cittadini sul suolo italiano.

In primo luogo, le numerose cause di discriminazione, come ad esempio, soprattutto in sede locale, la frequente subordinazione dell’accesso alle prestazioni alla residenza prolungata, a specifici permessi di soggiorno o a requisiti accessori rispetto a quelli domandati ai cittadini italiani. A questi fattori, nel corso del 2021 (così come nell’anno precedente), si è aggiunto il quadro di difficoltà determinato dalla pandemia da Covid-19, che si è innestata sulle consuete dinamiche relazionali fra cittadini e migranti agendo da moltiplicatore del divario sociale e rendendo per questi ultimi ancora più arduo l’accesso a servizi e diritti.

Infine, a ostacolare un pieno percorso integrativo, pur nel confortante aumento quantitativo delle acquisizioni di cittadinanza, sono intervenute anche quest’anno numerose incertezze e insidie di cui è disseminato l’iter di concessione.

A ciascuno di questi aspetti si dedicherà una specifica attenzione nei paragrafi che seguono.


L’accesso alla regolarità in tempo di pandemia


Dopo il primo impatto della pandemia e le numerose restrizioni alla circolazione predisposte da pressoché tutti gli Stati del mondo, il 2021 è stato segnato dalle progressive riaperture dei confini. Tuttavia, a dicembre 2021, nel suo aggiornamento settimanale dedicato alle misure restrittive adottate nel mondo a causa della pandemia, l’OIM contava ancora 114.797 misure(1). L’area europea non ha fatto ovviamente eccezione e anzi, sino all’introduzione del green pass digitale (nell’agosto del 2021), l’UE ha lasciato all’iniziativa unilaterale degli Stati membri l’adozione dei provvedimenti in materia di mobilità, inclusa la possibilità di chiusure specificamente orientate verso determinati Paesi in cui si registravano nuovi picchi, a seconda della variabilità del tasso dei contagi nelle diverse aree del mondo.

Pur in un quadro di progressiva riapertura, dunque, l’impatto delle misure adottate di caso in caso è andato sommandosi al già ingentissimo effetto prodotto dai provvedimenti di lockdown del 2020(2); quadro nel quale, peraltro, assolutamente minimi sono stati gli effetti del provvedimento di regolarizzazione disposto nel 2020, dal momento che l’esame delle domande sta procedendo in maniera estremamente lenta: a fine ottobre 2021, ad oltre un anno dal d.l. n. 34 del 2000, poco più di un terzo delle circa 207.000 domande presentate è stato portato a conclusione e solo 38.000 sono stati i permessi di soggiorno rilasciati(3).

A soffrire particolarmente, ancora nel 2021, del lockdown disposto nel 2020 sono stati i ricongiungimenti familiari, spesso compromessi dall’impatto economico della pandemia, sofferto in misura particolare dagli stranieri potenzialmente richiedenti e costretti a rinunciare o a posticipare la richiesta per la sopravvenuta mancanza delle condizioni reddituali necessarie. Anche le procedure già avviate e risolte con esito positivo, peraltro, sono state bloccate dall’emergenza sanitaria, venendo talvolta irrimediabilmente pregiudicate. Emblematico il caso di una cittadina cinese che, dopo aver richiesto e ottenuto, nella seconda metà del 2019, il ricongiungimento con i suoi figli gemelli, non ha potuto farli giungere in Italia a causa del blocco dei voli provenienti dalla Cina, nei primi mesi del 2020. Al termine di quel blocco e del successivo lockdown, però, i figli avevano raggiunto la maggiore età e l’Ambasciata italiana a Pechino negava così, ex post, ai figli di ricongiungersi con la madre, nonostante la normativa emergenziale prevedesse – accanto alla proroga dei permessi di soggiorno – anche la proroga dei nulla osta. Solo dopo un ulteriore anno, a metà del 2021 e all’esito di un ricorso giudiziale, la donna ha finalmente ottenuto il ribaltamento di quest’ultima decisione(4).

Anche l’introduzione del pass vaccinale, peraltro, non ha arginato definitivamente le difficoltà all’ingresso regolare legate alla pandemia poiché, essendo la “Carta verde” concessa in relazione ai soli vaccini riconosciuti dall’EMA, ha continuato a precludere l’ingresso o la fruizione di servizi sul nostro territorio da parte di coloro che provengono da Paesi ove è stata effettuata l’inoculazione di differenti vaccini. Alle normali difficoltà collegate alle procedure per ottenere visti e permessi, insomma, sono andate ad aggiungersi quelle relative all’ottenimento del green pass, che ha in queste circostanze richiesto la sottoposizione a ulteriori cicli vaccinali (oltre quelli già effettuati nel Paese di provenienza), pur nell’assenza di dati circa i potenziali effetti collaterali.

A soffrirne sono state, in maniera particolare, le migrazioni per ragioni di studio, che avevano costituito uno dei flussi di movimento regolare più ingenti degli ultimi anni e che era già stato gravemente compromesso nel corso del 2020 dall’opzione per la didattica a distanza o per la didattica mista da parte dei poli di istruzione superiore. L’effetto è che, nell’a.a. 2020/2021, solo 7.661 sono stati gli immatricolati stranieri con diploma superiore conseguito all’estero(5).

La condizione economica e occupazionale


Questi ostacoli non rendono giustizia al contributo che gli stranieri offrono al nostro tessuto economico e sociale. La Nota semestrale al Rapporto annuale 2021 su “Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia” – a cura della Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione(6) – rileva come anche quest’anno, in particolare nel secondo trimestre del 2021, gli stranieri abbiano occupato un posto importante nella ripresa delle attivazioni dei rapporti di lavoro seguite all’emergenza pandemica. Se, tuttavia, in relazione ai cittadini italiani si registra che la crescita di volume dei contratti attivati ha riguardato in particolare giovani e donne straniere, ossia le categorie che maggiormente erano state penalizzate dalla crisi del 2020, la distribuzione delle nuove attivazioni contrattuali fra gli stranieri e le straniere non ha conosciuto un analogo andamento perequativo, attestandosi intorno a incrementi proporzionali più omogenei fra le categorie.



C9. Tabella 1 • Variazione tendenziale dei rapporti di lavoro attivati per cittadinanza del lavoratore interessato, genere e classe d’età (v.%). 



Se si compara questo dato al particolare peso sopportato dalle lavoratrici straniere negli anni della pandemia, ne emerge un quadro decisamente preoccupante. Già a partire dal 2020 si era infatti potuto riscontrare come le donne straniere avessero dovuto sopportare l’aggravio di cura familiare connesso alla pandemia in maniera più impegnativa e più forte rispetto alle lavoratrici italiane: la percentuale di cittadine italiane impegnata nella cura di familiari, malati, disabili e anziani è stata del 35,9%, mentre quella delle cittadine comunitarie è stata del 39,1% e quella delle extracomunitarie del 44,9%. Ma, se la percentuale assoluta sembra segnare una distanza tutto sommato non troppo consistente, è nelle pieghe di ulteriori dati che si misura l’effettiva distanza delle conseguenze di tale impegno sulla condizione occupazionale: solo il 35,5% delle donne extracomunitarie e il 48,1% delle donne comunitarie che hanno oneri di cura hanno svolto anche un’attività lavorativa, a fronte del 57,2% delle cittadine italiane. Su questo dato molto probabilmente ha inciso un ridotto ricorso ai servizi di assistenza all’infanzia, specialmente nella fascia d’età prescolare: mentre il 56% delle cittadine italiane ha usufruito di servizi per la gestione dei figli, potendosene avvalere al fine di conciliare le esigenze di cura con quelle lavorative, la medesima percentuale delle straniere non ha acceduto ad alcun servizio, molto frequentemente per ragioni economiche (il costo elevato è il problema denunciato dal 31,2% delle cittadine comunitarie e dal 37,2% delle cittadine extracomunitarie che non vi hanno fatto ricorso)(7).

In questo quadro, allora, la riapertura “a singhiozzo” delle scuole, segnata dai frequentissimi isolamenti e quarantene che hanno caratterizzato larga parte dell’anno 2021, ha senz’altro inciso pesantemente sulle possibilità di lavoro per le donne straniere, anche se non è al momento possibile attingere a dati sicuri sul punto.

Eppure, a paragone con quanto riscontrato nell’attivazione di contratti a giovani lavoratrici italiane e nonostante il divario fosse più ampio, il numero di attivazioni di contratti a giovani lavoratrici straniere è ben più lontano dal garantire un – sia pur parziale – recupero.

Andando poi, più in generale, ad analizzare nel dettaglio le tipologie di contratti attivate al momento della ripresa economica nei confronti degli stranieri, emerge immediatamente come larga parte delle nuove posizioni lavorative siano state prevalentemente precarie (segnando un +136% di contratti di apprendistato; un + 82,6% di collaborazioni e un +96,3% nell’ambito della galassia contrattuale costituita dai contratti di formazione lavoro, di inserimento lavorativo, di agenzia, intermittente, di lavoro autonomo nello spettacolo), mentre i contratti a tempo indeterminato sono cresciuti specialmente per i cittadini italiani (+44,3%, a fronte di un aumento dell’11,6% per i cittadini UE e del 12,3 % per i cittadini extraeuropei), di pari passo con le trasformazioni di contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato.

L’impiego in lavori precari, già particolarmente problematico per gli stranieri (la regolarità del cui soggiorno dipende spesso dalla persistenza del lavoro e di condizioni di reddito adeguate), si fa ancor più preoccupante nel contesto di instabilità economica generato dalla pandemia, avendo reso gli stranieri maggiormente esposti alle oscillazioni economiche di quest’anno. Vero è, infatti, che il 2021 è stato segnato da una forte ripresa economica rispetto all’anno precedente (+6,6% del Pil), ma è vero anche che questa ripresa non ha compensato la caduta del 2020 e che, in rapporto al 2019, le spese per i consumi risultano ancora in calo del 4,7%(8).

Non può ritenersi un caso, allora, che le condizioni di povertà assoluta, rimaste stabili tra le famiglie composte solamente da italiani, siano vertiginosamente aumentate tra le famiglie composte da soli stranieri, passando dal già preoccupante 26,7% dello scorso anno al 30,6% del 2021 (a fronte del 5,7% delle famiglie italiane interessate dal problema)(9).

In aggiunta, l’impossibilità, per molti stranieri, di accedere al reddito di cittadinanza (in ragione dei requisiti di accesso, che lo riservano ai titolari di permesso di soggiorno europeo di lungo periodo, residenti da oltre 10 anni sul territorio italiano) ha inasprito ulteriormente questa incidenza sproporzionata della condizione di povertà.

In questo contesto, dopo una serie di pronunce dello scorso anno, ancora nel 2021 si sono registrate ulteriori condanne per la discriminazione nell’accesso alle misure rivolte a fronteggiare la crisi economica provocata dalla pandemia, in particolare nei confronti della Regione Abruzzo, per aver limitato l’accesso al “Bonus spesa” ai soli stranieri dotati di permesso di lungo periodo o di un permesso almeno biennale che svolgessero regolare attività lavorativa; previsione, quest’ultima, assolutamente contraddittoria, dal momento che il bonus stesso era rivolto a persone prive di occupazione(10).

Sempre più, dunque, l’integrazione economica offre un quadro non rispondente a un’adeguata valorizzazione del ruolo effettivo svolto dai cittadini stranieri nel tessuto sociale italiano, se solo si considera che l’apporto in termini di prestazioni contributive e fiscali diviene sempre più imprescindibile in un contesto di progressivo invecchiamento e diminuzione della popolazione attiva italiana.

Allargando lo sguardo alle conseguenze economiche globali della fragile condizione dei migranti in questi difficili anni, occorre sottolineare che tutto ciò ha prodotto anche un drastico calo delle rimesse verso l’estero(11), impedendo così il sostegno delle famiglie che, nel paese di origine, contano sul flusso monetario estero per l’accesso a un cibo di qualità, all’istruzione e a servizi essenziali, fra cui quelli sanitari. Gli effetti sono dunque esponenziali e toccano, secondo le stime della Banca Mondiale(12), circa un miliardo di persone, la cui esposizione a ulteriori condizioni di povertà e vulnerabilità produrrà con ogni probabilità un mutamento delle esigenze migratorie nel prossimo futuro.

La catena delle reazioni è dunque, al momento, appena avviata.


Il contrasto alle discriminazioni


Si è fin qui potuto verificare come la pandemia abbia severamente inasprito le condizioni di vita degli stranieri regolari sul nostro territorio, minando alle radici la possibilità di una loro compiuta integrazione nel tessuto sociale e lavorativo italiano. Il problema è stato denunciato a livello mondiale dall’OIM, già a partire dal primo anno di pandemia, con particolare preoccupazione nei riguardi dei tanti migranti che vivono in abitazioni affollate o in condizioni non ottimali, che subiscono una limitazione nell’idoneità o nell’accesso ai servizi (incluse le cure mediche) e che hanno un minore accesso alle informazioni a causa di barriere linguistiche e culturali(13).

Gli stranieri che hanno potuto affrontare le varie fasi dell’emergenza pandemica nelle proprie abitazioni hanno sofferto mediamente maggiori disagi rispetto alla popolazione italiana, vista la più diffusa precarietà alloggiativa e i minori spazi a disposizione, che hanno spesso impedito lo svolgimento di una quarantena adeguata a proteggere dal contagio familiari e conviventi. Il divario alloggiativo, insieme al digital divide, si è poi ripercosso sulla (im)possibilità di lavorare in smart working e di proseguire efficacemente gli studi. Se già molti studenti stranieri sperimentavano maggiori difficoltà rispetto a quelli italiani per problemi linguistici e, talvolta, per lacune nella formazione pregressa, ancora quest’anno la didattica a distanza ha reso più difficile colmare il divario per tutti coloro che non avessero a disposizione un computer, una connessione internet adeguata, uno spazio proprio dove seguire le lezioni e studiare.

L’emergenza Covid, dunque, non solo ha agito da moltiplicatore del divario fra garantiti e non garantiti, con conseguenze esponenziali che si riverberano nei più vari aspetti della vita familiare, lavorativa e sociale, ma anche da moltiplicatore delle consuete dinamiche di discriminazione istituzionale già esistenti e che hanno continuato a perpetuarsi anche nell’anno 2021.

Il riferimento è, in particolare, a tutti quei casi in cui l’accesso ai servizi pubblici viene precluso agli stranieri o subordinato per loro a condizioni ulteriori rispetto a quelle previste per i cittadini italiani.

Su questo versante, l’anno in esame è stato segnato da diverse pronunce dei giudici comuni e delle Corti supreme che, come di consueto, hanno tentato di arginare gli effetti discriminatori prodotti da normative e prassi amministrative.

Meritano di essere segnalate, a tale proposito, due sentenze della Corte costituzionale (la n. 9 e la n. 157 del 2021) in cui si è affrontato l’annoso problema della richiesta di documenti ulteriori o di reperibilità più gravosa rispetto ai cittadini italiani per l’accesso a misure di sostegno e di sicurezza sociale. Nella prima pronuncia la Suprema Corte ha sanzionato la previsione, contenuta in una legge della Regione Abruzzo, che richiedeva ai cittadini stranieri la produzione di documenti del paese di origine e di provenienza per accedere agli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Tale richiesta, infatti, oltre a rendere più gravoso e difficile l’accesso alla prestazione, si palesava gravemente irragionevole se si considera che dall’ISEE già risultano le eventuali proprietà possedute all’estero e che anche un cittadino italiano potrebbe averne. Alla luce di questa decisione, la gran parte dei Comuni e delle Regioni italiane hanno spontaneamente modificato i bandi e le disposizioni analoghe previsti all’interno dei loro ordinamenti, riferite pure a diversi strumenti a sostegno del diritto all’abitazione (come ad esempio il cd. “contributo affitti”), mentre in molti altri casi è stato necessario un intervento giudiziale(14).

Ancora irrisolto, invece, l’analogo caso del regolamento lombardo n. 4 del 2017 in materia di edilizia residenziale pubblica, che richiede documenti attestanti l’assenza di proprietà all’estero per potervi accedere. Già nel 2020 il Tribunale di Milano, in linea con le indicazioni provenienti dalla Corte costituzionale, aveva condannato la Giunta della Regione Lombardia ad eliminare la richiesta di documenti aggiuntivi agli stranieri, insieme all’esclusione dal beneficio per coloro che non fossero in grado di dimostrare 5 anni di residenza pregressa nella Regione e per i titolari di protezione internazionale. La Giunta però, proposto appello avverso l’ordinanza, nelle more non ha provveduto a modificare il regolamento, dandosi ulteriore tempo per individuare «soluzioni non discriminatorie tra cittadini di nazionalità diversa»(15). Si tratta di delibera che, dunque, non solo non ottempera alla decisione giudiziale appellata, ma non segue neppure le sopraggiunte indicazioni della Corte costituzionale relative all’adeguatezza dell’ISEE al fine di comprovare quanto necessario per accedere alle misure di sostegno del diritto all’abitazione.

Nella sentenza n. 157 del 2021, poi, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale una norma che impediva la produzione di dichiarazione sostitutiva di documentazione, al fine di ottenere il gratuito patrocinio. Il giudizio di legittimità costituzionale era stato sollecitato da un procedimento nel quale due cittadini indiani avevano proposto opposizione al diniego di permesso di soggiorno per lavoro stagionale e si erano visti negare il patrocinio a spese dello Stato perché non in grado di documentare la mancanza di redditi all’estero, per via dell’inerzia dell’Ambasciata e del Consolato indiani in Italia. La Corte costituzionale ha affermato l’irragionevolezza della norma e la violazione del principio dell’effettività del diritto di difesa prodotti nei confronti di coloro che vengono posti nell’impossibilità di produrre certificazioni di ben più difficile reperimento rispetto ai cittadini italiani.

Il problema della richiesta di documenti del paese di origine e di provenienza è stato affrontato anche dall’INPS, che con comunicazione n. 002848 del 6 agosto 2021 ha finalmente escluso la necessità della prova dei redditi esteri per l’accesso alle prestazioni di invalidità.

Un’altra frequente causa di discriminazione, in questo caso non solo fra cittadini italiani e stranieri, ma anche fra stranieri, è quella legata al tipo di permesso di soggiorno posseduto. È noto, infatti, che il permesso di soggiorno europeo di lungo periodo, in quanto attestante un’avvenuta integrazione lavorativa e sociale – e, d’altro lato, la prospettiva di ulteriore integrazione – consente l’accesso a una più ampia categoria o a una più elevata tutela di diritti (anche sociali). Se, dunque, differenziazioni nella tutela a seconda del tipo di permesso posseduto sono ammissibili, come affermato da ultimo dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 50 del 2019, occorre però che tali differenze siano giustificate dalla connessione della provvidenza con l’integrazione dello straniero nel tessuto sociale italiano, pena l’irragionevolezza e il carattere discriminatorio delle preclusioni.

Sulla scorta della mancanza di una tale connessione, ad esempio, è stato dichiarato discriminatorio e irragionevole riservare ai soli stranieri dotati di permesso di soggiorno UE di lungo periodo l’accesso al bonus di natalità e al bonus di maternità(16). Si è così concluso un lunghissimo contenzioso sul punto e sul quale diverse erano state le soluzioni giudiziali. Alcuni giudici, già da tempo, hanno sostenuto che le disposizioni in questione entrassero in contrasto con l’art. 12 della direttiva europea n. 2011/98 e, ritenendo l’articolo produttivo di effetti diretti(17), avevano disapplicato le disposizioni interne. L’INPS, tuttavia, asserendo l’impossibilità di ascrivere effetti diretti alla disposizione europea, continuava ad applicare le norme interne, accordando i due benefici ai soli stranieri lungosoggiornanti. La Corte di Cassazione, allora, vista la disomogeneità di soluzioni giudiziali sul territorio, la resistenza dell’INPS e la conseguente apertura di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, si era rivolta alla Corte costituzionale, la quale a sua volta aveva proposto un quesito interpretativo alla Corte di giustizia. E così, sia pur a distanza di molto tempo dalle richieste, all’esito di questo confronto fra le tre Corti apicali, è stato finalmente disposto l’annullamento delle disposizioni con efficacia erga omnes, ossia rivolta a tutti i giudici dell’ordinamento e a tutte le amministrazioni.

La decisione, peraltro, si muove in linea con la modifica normativa (efficace però solo pro futuro) contenuta nella legge recante “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea - Legge di delegazione europea 2019-2020”, in cui si afferma l’estensione del novero dei soggetti beneficiari di prestazioni sociali, comprendendovi i cittadini extracomunitari in possesso di permesso di soggiorno unico (cui andrebbero però aggiunti pure i titolari di permessi di soggiorno almeno annuali che consentono di svolgere attività lavorativa, come il permesso per lavoro autonomo o per lavoro stagionale, il permesso per protezione speciale e per vittime di violenza domestica). Una prima applicazione di questa impostazione si trova nella Legge delega n. 46 del 2021 e nel decreto legislativo attuativo n. 230 del 2021, in materia di assegno unico universale per figli a carico.

Ancor più estensiva la pronuncia della Corte d’Appello di Milano relativa al bonus asilo nido, da riconoscersi a tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti e non solo ai titolari di permesso unico di lavoro(18).

Sempre afferente questo filone di previsioni discriminatorie è l’ordinanza 1 dicembre 2021 con cui il Tribunale di Milano ha censurato la limitazione dell’aiuto economico regionale alle persone con disabilità ai soli stranieri dotati di permesso di soggiorno europeo di lungo periodo. A seguito del ricorso è infatti emerso che la limitazione, pur segnalata nei moduli amministrativi di richiesta, non era prevista da nessuna norma regionale o comunale(19).

In punto di discriminazione, estremamente significativa è anche la sentenza del 28 ottobre 2021 della Corte di giustizia dell’Unione europea, in cui è stato affermato che l’esclusione degli stranieri non comunitari dalla “Carta Famiglia” è contraria al diritto dell’Unione.

Infine, altra frequente misura discriminatoria è la richiesta della residenza prolungata e continuativa sul territorio per poter accedere ai servizi. La giurisprudenza costituzionale è da anni ferma nel condannare queste previsioni sia per irragionevolezza (per l’assenza di correlazione fra la residenza prolungata e la situazione di bisogno), sia per il loro carattere discriminatorio (poiché statisticamente si tratta di requisito più comune fra i cittadini italiani) e anche nell’anno in esame si è pronunciata in questo senso (nelle sentenze nn. 7, 9 e 42 del 2021). Eppure, non sono mancati ancora provvedimenti che hanno collegato l’accesso a contributi assistenziali alla prova della residenza prolungata sul territorio, come ad esempio la delibera della Regione Umbria n. 867 del 20 settembre 2021 relativa al “Bonus bebè” regionale o il bando 2021 del Comune di Arezzo per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica.

A riprova che il percorso giudiziale e i numerosi successi fin qui ottenuti non sono ancora riusciti a scardinare una logica che purtroppo possiede radici profonde, culturali e politiche.


Il problema delle discriminazioni tecnologiche


A questo insieme di discriminazioni oramai piuttosto conosciute e in relazione alle quali si è sviluppato un armamentario di strumenti di contrasto piuttosto raffinato e per molti versi efficace, occorre tuttavia aggiungere un nuovo ambito di discriminazioni di più difficile individuazione e tutela, poiché connesse allo sviluppo tecnologico e all’applicazione di strumenti di controllo e di Intelligenza Artificiale nei quali la disciplina normativa è ancora agli albori e l’attenzione collettiva tutto sommato non molto attiva, soprattutto con riferimento alle potenziali conseguenze discriminatorie nelle sue numerose potenziali applicazioni.

Il rapporto “Tecnologia per il controllo delle frontiere in Italia. Identificazione, riconoscimento facciale e finanziamenti europei”, a cura del Centro Hermes per la Trasparenza e i Diritti Umani Digitali, ricostruisce un quadro decisamente preoccupante relativo all’uso dei dati biometrici raccolti alla frontiera, nei confronti dei migranti che permangono sul territorio. Un quadro caratterizzato innanzitutto dall’opacità: non sono previsti controlli da parte di organismi indipendenti circa la raccolta e l’utilizzo dei dati, non ci sono informazioni costanti sul numero di persone comprese all’interno del sistema, né sui tempi di conservazione o sulla fonte di estrazione dei dati per la loro raccolta, non c’è trasparenza sugli algoritmi che fanno funzionare alcuni sistemi di sorveglianza associati a queste raccolte di dati.

Il riferimento, in particolare, è al sistema AFIS (Automated Fingerprint Identification System), utilizzato in sede di indagini dalle Autorità di Pubblica Sicurezza, che sembra contenere sia dati raccolti nel corso di precedenti indagini, sia dati raccolti in sede di pre-identificazione o di identificazione dei migranti entrati nel nostro territorio per richiedere protezione internazionale, con il risultato che il sistema si compone per la gran parte di soggetti stranieri. A seguito di un’interrogazione parlamentare, il Ministero dell’Interno ha riportato che nella banca dati Afis erano presenti, nei primi mesi del 2020, quasi 9 milioni e 900 mila profili, dei quali solo 2 milioni e cento, circa, appartenenti a cittadini italiani(20).

Dinnanzi a questa evidente sproporzione, altrettanto sproporzionata risulta la possibilità di individuare stranieri che hanno commesso un crimine rispetto agli italiani che hanno commesso crimini analoghi, contribuendo così a incrementare una già consistente percezione di maggiore pericolosità degli stranieri. Peraltro, alla luce di questi dati, diviene cruciale l’attendibilità degli algoritmi adottati per la verifica della corrispondenza dei volti soggetti a indagine con quelli contenuti nel data-base, poiché è evidente che il rischio di falsi positivi è altamente sbilanciato in sfavore degli stranieri.

Se a ciò si aggiunge il “difetto di taratura” dei sistemi quando si tratta di volti che si discostano dallo standard occidentale e la maggiore inaccuratezza dimostrata nel riconoscimento dei volti femminili o in seguito a invecchiamento(21), la risultante è quella di uno strumento pericolosamente discriminatorio, in cui l’inserimento dei dati avviene senza un’adeguata consapevolezza da parte degli stranieri e delle straniere circa il relativo potenziale trattamento.



C9. Tabella 2 • I casi dei falsi positivi ogni 10.000 casi


L’accesso alla cittadinanza italiana


Qualche segnale positivo proviene invece dal controverso e impervio percorso dell’accesso alla cittadinanza italiana da parte degli stranieri che maturano le condizioni per farne richiesta. Nel corso dell’anno 2021, infatti, si è registrata una crescita dei riconoscimenti e delle concessioni di cittadinanza italiana, con circa 119mila cittadini extraeuropei che hanno completato positivamente l’iter per l’accesso al relativo status, concludendo così il percorso di integrazione svolto all’interno del nostro Paese.

Tuttavia, pure all’interno di questo quadro complessivamente confortante, non sono mancati anche quest’anno casi problematici, legati all’estrema incertezza e discrezionalità della procedura. La subordinazione della concessione della cittadinanza a fattori e requisiti non sempre precisamente delineati a priori, ma basati su ponderazioni discrezionali afferenti alla “meritevolezza” del richiedente sul piano della sua condotta, delle sue frequentazioni e su quello economico, o a non chiaramente circoscritte ragioni di sicurezza nazionale, rendono spesso l’esito del procedimento del tutto imprevedibile.

Incerte rimangono addirittura le possibilità che all’istanza venga dato effettivamente seguito e le tempistiche della risposta, nonostante i ripetuti interventi normativi che hanno disposto il termine del procedimento dapprima entro 2 anni, poi entro 4 anni (così, il d.l. 113/2018, art. 14, c. 1, lett c)) e infine entro 3 anni (cfr. d.l. 130/2020, art. 4, c. 5) e che non hanno mai, però, previsto conseguenze per il decorso infruttuoso del termine.

Anche nel corso del 2021, così come negli anni precedenti, si possono comunque registrare pronunce di condanna o contenimento di episodi di abuso della discrezionalità amministrativa nella concessione della cittadinanza. È stato confermato, ad esempio, un importante indirizzo giurisprudenziale riferito al riconoscimento della cittadinanza “per elezione” (ossia della richiesta di cittadinanza svolta da chi nasce sul territorio italiano e vi risiede regolarmente sino ai diciotto anni). Si tratta, infatti, di procedimenti il cui successo rischia spesso di essere inficiato quando i genitori del minore straniero non provvedono alla regolarizzazione della loro posizione o alla registrazione all’anagrafe di ogni passaggio di residenza, così compromettendo la possibilità per il figlio di dimostrare la sua regolare e ininterrotta presenza sul territorio. Per evitare che responsabilità dei genitori si ripercuotano sul diritto ad acquistare la cittadinanza di soggetti incolpevoli, da tempo i giudici, le Corti apicali, circolari amministrative e norme di legge ammettono elementi di prova della residenza del minore sul territorio italiano diversi dalla registrazione all’anagrafe (come ad esempio certificati di iscrizione scolastica o certificati vaccinali). Il Tribunale di Roma, con ordinanza 24 febbraio 2021(22), e il Tribunale di Milano, con ordinanza 2 marzo 2021(23), hanno ribadito ancora una volta questo indirizzo, a fronte di amministrazioni comunali che – nonostante le norme, le circolari amministrative e le pronunce giudiziali menzionate – continuavano a interpretare restrittivamente la prova di residenza e opponevano diniego alla richiesta di acquisto della cittadinanza di neomaggiorenni extraeuropei che avevano presentato istanza al compimento dei diciotto anni, presentando documentazione scolastica e medica attestante la presenza in Italia, nonostante i genitori non avessero provveduto al rinnovo del permesso di soggiorno o della dichiarazione di dimora presso il Comune.

In presenza di tali condizioni, è stato ancora una volta affermato, «la concessione della cittadinanza italiana risponde alla necessità di permettere alla ricorrente di sviluppare e realizzare un completo e positivo inserimento nel nostro Paese e di garantire da subito la vita privata e familiare della persona, fortemente riconosciuta e sottolineata dall’art. 8 CEDU».

Particolarmente significativa, inoltre, la pronuncia del Tribunale di Roma del 20 maggio 2021(24) che ha rimediato alle ripercussioni prodotte dalla previgente legge n. 555 del 1912 relativa all’acquisto della cittadinanza che, discriminando sulla base del genere, impediva alle donne italiane di trasmettere la propria cittadinanza ai figli (art. 1, n. 1). Il caso è stato avviato dalla richiesta dei bisnipoti di una cittadina italiana, emigrata in Tunisia nel periodo coloniale e che, in virtù di quella legge, non aveva trasmesso la propria cittadinanza ai figli, pregiudicando così, a catena, anche la possibilità per nipoti e bisnipoti di ottenere la cittadinanza dai loro genitori. Il Tribunale di Roma, considerato che la norma in questione era stata dichiarata incostituzionale nel 1983, ha ritenuto che «gli effetti prodotti da una legge ingiusta e discriminante nei rapporti di filiazione e coniugio sullo stato di cittadinanza, che perdurino nel tempo» devono venire meno a partire dalla cessazione di efficacia di tale legge, ossia dall’entrata in vigore della Costituzione italiana. Pertanto, a far data dal 1° gennaio 1948, «la cittadinanza deve ritenersi recuperata per coloro che l’hanno perduta o non l’hanno acquistata a causa di una norma ingiusta».

Note


(1) - Cfr. Global Mobility Restriction Overview, in https://displacement.iom.int/sites/default/files/public/reports/DTM-COVID19%20Global%20Overview%20Output%2013-12-2021.pdf.

(2) - Oecd, Covid-19 crisis puts migration and progress on integration at risk, in https://www.oecd.org/migration/covid-19-crisis-puts-migration-and-progress-on-integration-at-risk.htm.

(3) - V. il terzo rapporto della Campagna Ero Straniero, Regolarizzazione 2020, ancora in troppi senza risposta. Tre emendamenti al bilancio per salvare la sanatoria e andare oltre, in https://erostraniero.radicali.it/wp-content/uploads/2021/11/Monitoraggio-regolarizzazione-ed-emendamenti_25-novembre-2021.docx.pdf.

(4) - Cfr. Trib. Roma, ord. 15 luglio 2021, reperibile in https://www.meltingpot.org/app/uploads/2021/08/ordinanza_n.pdf

(5) - V. i dati UNESCO reperibili in http://uis.unesco.org/en/uis-student-flow.

(6) - Il rapporto è reperibile al link: https://www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/studi-e-statistiche/Documents/Undicesimo%20Rapporto%20Annuale%20-%20Gli%20stranieri%20nel%20mercato%20del%20lavoro%20in%20Italia%202021/Sintesi-XI-Rapporto-MdL-Stranieri-REV-22072021.pdf; la Nota semestrale di aggiornamento, dedicata ai primi due semestri del 2021 è reperibile al seguente link: file:///Users/home/Downloads/Nota-semestrale-2021-Gli-stranieri-nel-mercato-del-lavoro.pdf

(7) - Cfr. https://www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/studi-e-statistiche/Documents/Decimo%20Rapporto%20Annuale%20-%, 39 ss.

(8) - Cfr. il rapporto Istat sulla povertà assoluta, pubblicato l’8 marzo 2022: https://www.istat.it/it/files//2022/03/STAT_TODAY_POVERTA-ASSOLUTA_2021.pdf.

(9) - Ibidem.

(10) - Trib. Pescara, ord. 4 giugno 2021, in https://www.asgi.it/banca-dati/tribunale-di-pescara-ordinanza-4-giugno-2021/; Trib. L’Aquila, ord. 19 luglio 2021, in https://www.asgi.it/banca-dati/tribunale-dellaquila-ordinanza-22-luglio-2021/.

(11) - Cfr. https://www.bancaditalia.it/statistiche/tematiche/rapporti-estero/rimesse-immigrati/

(12) - World Bank Group/Knomad, Covid 19-Crisis: Through a Migration Lens, Migration and development brief, no. 32, April 2020.

(13) - Cfr. https://www.iom.int/sites/default/files/our_work/ICP/MPR/migration_factsheet_6_covid-19_and_migrants.pdf.

(14) - Cfr. Cfr. Trib. Udine, ord. 2 marzo 2021; Trib. Bergamo, ord. 16 marzo 2021; Trib. Trieste, ord. 30 aprile 2021; Trib. Torino, ord. 22 giugno 2021; Trib. Torino, ord. 25 luglio 2021; Corte app. Trento, sent. 23 giugno 2021; Trib. Ferrara, ord. 6 luglio 2021; Trib. L’Aquila, ord. 19 luglio 2021; Trib. Milano, ord. 27 luglio 2021, Corte d’Appello di Trieste, sent. 25 novembre 2021, tutte reperibili attraverso la banca dati giurisprudenziale ASGI.

(15) - Cfr. delibera n. 5305 del 2021, in https://www.regione.lombardia.it/wps/portal/istituzionale/HP/istituzione/Giunta/sedute-delibere-giunta-regionale/DettaglioDelibere/delibera-5305-legislatura-11

(16) - Cfr. Corte di giustizia, sent. O.D. e a. c. INPS, in causa C-350/20, resa su rinvio pregiudiziale della Corte costituzionale italiana e da quest’ultima poi implementata a livello interno con sent. n. 54 del 2022, con cui sono state annullate le disposizioni censurate.

(17) - Come deducibile da alcune pronunce della Corte di giustizia (cfr., e.g., CGE, 21.6.2017, Martinez Silva, C-449/16) e di recente affermato anche dalla Corte costituzionale (sent. n. 67 del 2022).

(18) - Cfr. Corte app. Milano, sent. 15 giugno 2021, in https://www.asgi.it/banca-dati/corte-dappello-di-milano-sentenza-15-giugno-2021/

(19) - Cfr. https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2021/12/Tribunale-di-Milano-ordinanza-del-1-dicembre-2021-est.-Gigli-APN-e-ASGI-avv.ti-Guariso-Rizzi-Fiorini-e-Neri-c.-Regione-Liguria-avv.-Bozzini.pdf.

(20) - La risposta del Ministero è riportata nel Rapporto Hermes, cit., a p. 28.

(21) - Cfr. D. Castelvecchi, “Is Facial Recognition too biased to be let loose?”, in Nature, 18 novembre 2020, https://www.nature.com/articles/d41586-020-03186-4

(22) - Reperibile al link: https://www.meltingpot.org/2021/05/cittadinanza-italiana-a-18-anni-ex-art-4-l-91-1992-la-prova-di-aver-vissuto-in-italia-puo-essere-data-con-qualsiasi-mezzo/

(23) - Reperibile al link: https://www.meltingpot.org/app/uploads/2021/04/cittadinanza_iure_soli_trib_milano_2021_.pdf.pdf

(24) - Cfr. https://www.meltingpot.org/app/uploads/2021/08/trib_roma_ord_20mag21.pdf

Pap Khouma

Pap Khouma

(Dakar, 1957 - )
DAL SENEGAL, AL LAVORO COME VENDITORE AMBULANTE, ALLA SCRITTURA: LA STORIA DI PAP KHOUMA, UNA VITA PASSATA A RACCONTARE GLI IMMIGRATI E L’INTEGRAZIONE IN ITALIA

Italia, 1984. Pap Khouma arriva a Milano dal Senegal. Quella che oggi è la storia individuale di milioni di persona era, al tempo, quasi un fatto curioso in un paese che, fino a meno di venti anni prima, era terra quasi esclusivamente di emigrazione. Passano gli anni e Pap impara l’italiano e considera l’Italia e Milano come la sua seconda casa. Siamo nel 1989 e ci sono più immigrati in Italia rispetto a cinque anni prima: sono poco più di mezzo milione.

E rimangono così, nell’ombra, in disparte, visibili solo nei grandi centri urbani. Ma le loro storie iniziano ad affacciarsi nel vissuto dell’Italia che cambia: troppo marginali per essere già oggetto di speculazione politica ma comunque oggetto di interesse per gli italiani, spesso poco abituati a vedere in giro per le grandi città italiane persone differenti dai soliti turisti.

Queste sono le storie che decide di raccontare Pap Khouma. La sua storia e la storia di molti altri. Quando gli venne chiesto di raccontare la storia di altri migranti, ricorda come “all’origine dell’inchiesta vi era un senegalese che aveva iniziato a lavorare in una storica caffetteria di Firenze”; non scandalo ma curiosità, appunto, e il sorgere delle prime domande riguardo gli “stranieri” che venivano a vivere qui, in Italia.

Da questa indagine trasse lo spunto per il libro che lo renderà famoso, “Io, venditore di elefanti. Una vita per forza tra Parigi, Dakar e Milano”. Chi erano queste persone? Da dove venivano? Perché venivano in Italia? Tante le domande alle quali il libro provava a rispondere. Il punto centrale era però chiaro: il punto di contatto tra il desiderio di una vita migliore e il rapporto con una cultura e un ambiente completamente diverso. E una situazione in cui, pur riuscendo in molti casi ad essere “in regola” da un mero punto di vista formale, si finiva relegati ai margini - quelli fisici delle periferie ma allo stesso tempo sociali - del paese ospitante. Proprio da quella esperienza Pap Khouma troverà il suo “posto” nella sua nuova vita. Dopo anni passati a vendere elefanti di ceramica (da qui il titolo del libro), infatti, il successo avuto con la sua pubblicazione lo aiuterà ad affermarsi nel mondo della cultura e dell’editoria. Inizierà a scrivere di letteratura e migranti su riviste specializzate, pubblicherà nuovi libri e inizierà a lavorare in una grande libreria milanese, occupandosi dei libri stranieri. E porterà i suoi racconti anche nelle scuole, conscio che l’educazione ha un ruolo fondamentale nel prevenire il razzismo e la discriminazione.

Dall’uscita di “Io, venditore di elefanti” sono passati ormai 30 anni. Cosa e quanto è cambiato da allora? Rispondiamo e concludiamo questa storia proprio con le parole di Pap Khouma, estrapolate da un’intervista risalente al 2018:


“Oggi viviamo un momento difficile, soprattutto per chi è immigrato e ha la pelle nera. Nei talk show si va solo a litigare. Si può trovare spazio con il politico di turno che vuol far crescere i propri consensi sparando contro gli immigrati. Spesso ci sono uno o due africani che si difendono, dicendo: ‘Noi non siamo così”. Chi attacca e chi difende, insomma, come in un gioco di ruolo. La verità e’ che però mancano gli spazi per scrivere e riflettere [...]”